Libro: Contro l’identità (Francesco Remotti): creare e distruggere identità

[CzzC: 14/06/2010: da una studentessa mi viene segnalato e richiesto di commentare un testo pubblicato il 30/08/2009 da Sara Ferraiuolo per la rubrica LETTERATURA

[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 24/06/2023; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]

Pagine correlate: Contro natura, identità; vuolsi neutralizzare il volontariato cattolico? tornare in sacrestia?

 

Francesco Remotti insegna Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Torino. Ha condotto ricerche sul campo tra i baNande del Nord Kivu (Repubblica Democratica del Congo). È autore di Noi, primitivi (Bollati Boringhieri, Torino 1990); Luoghi e corpi (Bollati Boringhieri, Torino 1993); Contro l’identità (Laterza, Roma-Bari 1996); Prima lezione di antropologia (Laterza, Roma-Bari 2000); Centri di potere. Capitali e città nell’Africa precoloniale (Trauben, Torino 2005) e ha curato Le antropologie degli altri (Paravia, Torino 1997). Per la Bruno Mondadori ha curato: Forme di umanità (2002) e Morte e trasformazione dei corpi. Interventi di Tanatometamorfosi (2006).

 

Libro: Contro l’identità - Francesco Remotti - Creare e distruggere identità

 

Contro l'identità di Francesco Remotti è un esempio molto valido di teorizzazione della creazione identitaria quale fattore culturale.

Chi siamo noi? Cosa non siamo? Qual è la nostra identità? Cosa vogliamo rappresentare e in che modo poniamo in essere questa rappresentazione? L'uomo è un essere biologico incompleto, è per questo motivo che si manifesta il suo bisogno di creare identità per ogni oggetto o persona che fa parte del suo mondo; in questo modo egli riempie le manchevolezze della natura, i suoi buchi biologici.

[CzzC: mi pare eccessiva la sicurezza dell’affermazione “è per questo motivo”; probabilmente F. Remotti avrà cercato di dimostrare in questo o altro suo libro tale asserzione e potrei attenuare la mia aggettivazione dopo averne preso atto, ma nel frattempo il Remotti e la Ferraiuolo vogliano perdonarmi l’azzardo di una controdimostrazione preventiva:

·        che ogni essere vivente sia incompleto è evidente; diversamente si negherebbe quantomeno la teoria dell’evoluzione; siamo esseri limitati e perfettibili;

·        è ovviamente usabile il criterio dell’incompletezza come presunto generatore del bisogno di identità, ma mi pare riduttivo rispetto al criterio dell’efficacia d’insieme, ovvero della logica positiva dei sistemi per cui 2 rende meglio di 1+1; esemplifico:

-        con due mani un soggetto fa molto più del doppio di quanto può fare con una mano sola;

-        due soggetti che collaborino assieme rendono più del doppio di quanto riuscirebbero a fare singolarmente (rendere non solo per l’economia, ma ad ampio spettro, compreso l’obiettivo felicità, massima aspirazione dell’uomo);

-        grandi aziende ben organizzate con centinaia di dipendenti riescono sovente a fornire prodotti e servizi impossibili per decine di aziende con decine di dipendenti e nella formazione del loro personale enfatizzano la loro identità con accezioni motivanti pro bonum loro e dei loro clienti, il che pure in competizione sul mercato;

-        ma è soprattutto in ambito educativo e normativo che si può spendere la logica positiva dell’umana promozione, imprescindibile dalla valorizzazione dell’esperienza contingente e storica, configurante il concetto di identità;

·        questa esperienza elementare genera naturalmente meccanismi di alimentazione e rinforzo dell’insieme efficace, e, altrettanto naturalmente, meccanismi di protezione e difesa delle relazioni strutturali all’interno del medesimo;

·        in conclusione vedo il concetto di identità correlato più a un positivo osservabile e misurabile, piuttosto che a una manchevolezza, percepita o inconsapevole, pur ammettendo che il delta di potenziale motore dei cambiamenti possa originarsi sia come tensione ad un plus sia come reazione tesa a colmare un minus].

Questa operazione di restauro si attua attraverso la cultura, che sopperisce alle pecche naturali, completando l'essere uomo [CzzC: vedi che il prof (o la Ferraiuolo) è costretto dai suoi presupposti teorici ad usare termini riduttivi, restauro, pecche,  mentre la logica dei sistemi ci farebbe dire “operazione di sviluppo, di apprendimento intergenerazionale, di civilizzazione”, processo tipico del vertice evolutivo, cioè dell’uomo con la sua autocoscienza, fenomeno meno evidente e più goffo nei gradini inferiori della scala evolutiva animale; imprecisa anche la dizione “completando l’essere uomo”, perché l’uomo resta comunque incompleto anche quando migliora le sue prestazioni e la sua felicità]. La creazione di identità è un processo che si iscrive nel continuo “pendolare” tra strutturazione stabile e flusso continuo del mutamento [CzzC vedi successiva nota su essere/divenire].

Tale identità culturalmente appresa diventa un fenomeno creato dalla messa in essere di ben specifiche scelte, di una peculiare e studiata classificazione del mondo, di un'accettazione di alcuni concetti, e di conseguenza, di una negazione di altri [CzzC: se per studiata il prof supponesse un’accezione ideologica, spererei che lo intendesse riferire ai totalitarismi nazi-comunisti del secolo scorso, nonché ai similari retaggi cino-nordcoreani e alle teocrazie della sharia, mentre lo studio nella cultura della libertà muove dalla osservazione dell’esperienza, che si avvale anche della facoltà di discernimento, che a sua volta, per scomodare Piaget, muove la facoltà di serializzare, formulare ipotesi, isolare variabili, classificare, e alimenta l’attitudine ad efficientare i sistemi cooperanti per il bene comune. Quanto al termine “negazione di altri” spero che il prof non intenda censurarlo tout court, essendo naturale che chi persegue e protegge una certa esperienza di bene comune, possa trovarsi a negare equivalenza a prassi percepite come dannose per quell’obiettivo, soprattutto se imposte anziché optabili: è sufficiente avere una minima capacità di discernimento]; un continuo compromesso tra essere e divenire [CzzC: essere e divenire sono concetti non mutuamente esclusivi, sinergici più che mutuamente compromissori]. L'identità – dice Remotti molto chiaramente – non inerisce all'essenza di un oggetto; dipende invece dalle nostre decisioni. L'invenzione identitaria, perché di una invenzione e falsificazione non può che trattarsi, [CzzC: dopo solo due pagine di questa lettura avrei qui previsto, ancorché non condiviso, che il prof (o la Ferraiuolo) usasse il termine “sublimazione” o “sovrastruttura”, mentre lo vedo affondare con invenzione e falsificazione, probabilmente insidiato dal suo presupposto teoretico riduttivo: accade infatti sovente che quando si cerca di interpretare un fenomeno con un criterio ideologico anziché esperienziale, si rischia di scartare per semplificazione troppi fattori comunque influenti sulla realtà descritta: dal che talvolta deriva lo scontro con l’evidenza dei fatti che a sua volta può generare ripensamento e affinamento delle griglie interpretative del fenomeno, mentre una reazione contestativa di interpretazioni non condivise, che ricorresse a terminologie aggressive, denoterebbe debolezza di argomentazioni; inventato e falso implica l’esistenza di un sussistente vero: chissà se la Ferraiuolo ha chiesto al prof Remotti quale sarebbe il vero, rispetto al quale l’identità sarebbe una falsa invenzione; che sia l’ENTROPIA?] ha sempre a che fare con il tracciare confini, con la loro continua valutazione e rinegoziazione, col creare la messa in scena di un'identità definibile, dando origine ad una “realtà” culturalmente accettata che presuppone un continuo bilanciarsi tra separazione e assimilazione, tra trascurare ed accettare, una continua reinvenzione delle categorie, un continuo reinserire esseri ed oggetti all'intero di tabelle e gruppi separati artificialmente. [CzzC: non so se il prof abbia avuto occasione di fare esperienza di efficace educazione di giovani (farli crescere con gusto della vita e capaci di sostenerselo e di propagarlo) e se è riuscito a farlo a prescindere dal mettere in gioco la sua identità]. Ma proprio la creazione di realtà altre, frutto della separazione del noi dal resto del mondo, fa nascere il concetto di Alterità, concetto che sta alla base di tutta la teoria Remottiana. L'Altro è infatti ciò che fa da sfondo all'uno, e vi si intreccia intrinsecamente. Senza l'Altro non potrebbe esistere il noi, senza opposizioni e separazioni non può definirsi un confine che pone l'accento, appunto, sulle differenze identitarie [CzzC: “io sono tu che mi fai”, e perciò riconosco che senza l’Altro io non esisterei, ma ciò non implica necessariamente il dover definire un confine se non per legittima difesa, mentre sussiste la ben più ampia logica positiva e costruttiva del divenire-sviluppo, che può conciliare opposizioni e separazioni valorizzandone la componente di sana competitività; anche se il prof non volesse sentir parlare della cristiana civiltà dell’amore, gli basti sapere che nella teoria dei sistemi organizzati, anziché di confini, si preferisce parlare di perimetri permeabili, introdotti pro bonum come delimitanti - non rigidamente - aree di competenza delle responsabilità, ma nella consapevolezza che l’efficacia si ottiene dal cooperative processing].

Per riassumere il concetto, l'esistenza di un'Alterità permette il modellamento di una “nostranità” e l'opposizione continua tra queste due personalità distinte, rafforza entrambe. [CzzC: il termine opposizione non gli basta, lo aggettiva addirittura con continua, tradendo una matrice ideologica pessimistico-deterministica che mal si addice ad interpretare i fenomeni più complessi dell’umana esistenza, non facilmente inquadrabili in schematismi semplicemente fisiologici e ancor meno in buchi biologici]. L'una si separa dall'Altra ed allo stesso tempo ne assimila caratteristiche; si discosta e si avvicina creando quel continuo oscillare tra flusso in mutamento e struttura stabile che permette appunto la messa in scena continua del processo di creazione dell'identità; ha così origine la MASCHERA, simbolico segno identitario. [CzzC: forse sbaglio, ma mi pare che studi avanzati di gnoseologia e psicologia siano andati oltre il paradigma del sistema oscillante tra staticità e mutamento, ritenendolo troppo semplicistico. Πάντα ῥεῖ (tutto scorre) secondo l’aforisma di 2500 anni fa attribuito ad Eraclito, e il dinamismo della vita evoluta è tale che non ha bisogno di inventare maschere, anzi smaschera le grettezze col brillare di sorprendenti volti nuovi, accattivanti sequela per l’evidente loro corrispondenza all’esigenza (reale o indotta) di felicità e, purtroppo, scatenanti anche invidia e odio da parte di chi ritiene ideologicamente di esserne adombrato; spiace in questo contesto che i riflettori della cultura dominante illuminino soprattutto le scene profittevoli economicamente o partiticamente e trascurino esperienze eccellenti di promozione e sostegno della qualità della vita e dunque della civiltà umana].

Creare un'identità è un mezzo [CzzC: il difendere un’identità potrà essere definito un mezzo, meno il crearla, perché un’identità nasce naturalmente per le dinamiche di cui sopra, mentre la si può coltivare o contrastare; certo, qualche regime totalitario brandisce strumentalmente l’identità del popolo (qui davvero c’è invenzione e inganno), ma lo si può smascherare con il criterio della libertà: un’identità che effettivamente persegua il bene comune deve necessariamente ammettere che ogni essere umano possa liberamente abbracciare l’identità che più gli corrisponde, il che anche attraverso libere conversioni: mi pare che al riguardo c’è abbondante cronaca quotidiana per comprendere il differenziale semantico di varie identità/civiltà] per opporsi e adattarsi alle risorse di un determinato gruppo/periodo, allo stesso tempo tale creazione [CzzC: direi cura, alimentazione, sviluppo, difesa, più che creazione] è un obiettivo, non più solo un mezzo, ed in quanto tale è perseguito costantemente dal popolo che vi appartiene. Ciò che impedisce a questo processo di fossilizzarsi in un fallimento strutturato è il confronto continuo con l'alterità che nutre, e di cui si nutre costantemente, grazie ai continui processi di rinegoziazione [CzzC: chissà se il prof si preoccupa di indirizzare questo insegnamento anche ai maestri di odio che hanno giustificato chi ammazzò la figlia perché innamoratasi di un infedele; io ho imparato da Uno che mi ha insegnato ad amare perfino quell’assassino, mentre il prof potrebbe suggerirci cosa dovremmo rinegoziare con quel genere di maestri]. Questa teoria dimostra, inoltre, come sia impossibile utopicamente realizzare un'identità statica, pura e immutabile e, di conseguenza, quanto siano impossibilitati all'esistenza i concetti “razziali” che negli anni, politicamente e spesso dal punto di vista religioso, hanno dato origine a conflitti sanguinosi e, tutto sommato, inutili al fine di creare la propria identità [CzzC: effettivamente la difesa della propria identità, pur legittima, e la promozione della stessa (illegittima se impositiva) possono sproporzionare generando azioni lesive dei diritti umani; chi è senza peccato in merito scagli la prima pietra, ma a chi maggiormente sta uccidendo e schiavizzando innocenti potremmo almeno negare l’onore della prima fila nella commissione per i diritti dell’uomo].

Attraverso l'analisi si possono ripercorrere le tappe della creazione di ogni “identità” ed analizzare le scelte formative e il ventaglio di possibilità utilizzate e scartate dall'essere che si veste di tali “caratteristiche”. Si possono quindi analizzare le molteplicità, le opposizioni, ed i confini che hanno dato origine a questo e non a quel tipo di culturalità, e viceversa.

 

[CzzC: altri pareri

- 30/06/2010 Il marxista Lenin Raghuvanshi, attivista indiano per la difesa dei diritti umani, afferma che  "negare l’IDENTITA’, la cultura e la storia di una società è una violazione della laicità e dei diritti umani”.

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