Carissimo Diego,

    anzitutto complimenti per il nuovo incarico alla Direzione di Vita Trentina, anche se so che tu vedi primariamente la responsabilità che te ne deriva: formulo al riguardo augurio ma soprattutto una preghiera perché il Signore benedica la tua opera.

   Con l’occasione ti passo un mio articolo/riflessione che probabilmente non potrai pubblicare (sia perché lungo, sia perché forse politically uncorrect), ma sul quale non mi dispiacerebbe un giudizio tuo o di qualche tuo collaboratore in VT, soprattutto se mi fosse critico in correzione fraterna.

   L’articolo approntai in bozza lo scorso mese dopo un anno di catechesi in Parrocchia (animai la catechesi rivolta ai genitori dei bambini di Prima Comunione) avente per tema la libertà: parte delle argomentazioni emerse negli incontri di tale catechesi enucleai in articoli per il trimestrale interparrocchiale Comunità in Cammino (a marzo questo articolo su liberté egalité senza fraternité, a giugno quest’altro perché non bombardare), mentre la seguente bozza di articolo, frutto di mia riflessione estiva (non di dialogo con i genitori, per quanto in linea con il suddetto tema libertà), non ha trovato spazio nel numero di settembre di Comunità in Cammino.

   Scusa la lungaggine: sapendoti preso in ben maggiori priorità, non chiedo risposta: se arriva è solo dono.

   Buona Opera! Cordiali saluti.

   Carlo (fiduciario Parrocchia S.Giuseppe/Rovereto)

P.s.: se venisse pubblicato qualcosa, vorrei che fosse a puro titolo personale, non coinvolgente la Parrocchia, e che venisse firmato con l’acronimo CzzC.

 

E se i conflitti derivassero soprattutto da un problema educativo?

 

Ricorre con crescente frequenza la notizia che grandi e sagge personalità dell’Islam ammettono che la loro religione ha bisogno di una rivoluzione dell’insegnamento, quantomeno per tacitare i maestri del verbo uccidere e per correggere le applicazioni dei relativi testi sacro-didattici che, in particolare, confliggono con gli art.18 (libertà di coscienza) e art.19 (libertà di espressione) della dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta dalla maggior parte delle nazioni (esclusi i regimi leninisti e islamisti).

Il suo Art.18 recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione ...».

L’Art.19 della stessa dichiarazione recita  «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione ...».

Siccome questa dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948/Parigi) non è compatibile con la concezione della persona e della comunità che ha l'Islam, la comunità internazionale concesse agli stati islamici che adottano la sharia (si dovevano accontentare soprattutto Pakistan e Arabia Saudita, alleati degli USA, ma pretendevano correzione anche Sudan e Iran) di proclamare nel 1981 presso l’Unesco a Parigi, la versione islamica della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nel 1990 fu proclamata la Dichiarazione del Cairo dei Diritti Umani dell'Islam.

È difficile escludere che proprio in forza di tale diversa dichiarazione dei diritti umani (diversa civiltà?) i regimi wahhabiti (Arabia Saudita, Qatar) e similari integralismi (Pakistan) possano mandare a morte gli abiuri o i supposti blasfemi (Asia Bibi) o i malcapitati che si permettessero certe libertà di espressione come il giovane fondatore del sito dei «Liberali sauditi» condannato ad essere frustato con dosi di 100 colpi ogni venerdì dopo la preghiera.

Come potremmo pensare che sia puramente casuale la coincidenza che i regimi wahhabiti siano quelli che maggiormente hanno foraggiato il jihadismo in Medio Oriente, esitato nelle efferatezze del cosiddetto Stato Islamico?

È arduo escludere che sia puramente casuale la circostanza che tali regimi siano i più coccolati dalle piazze finanziarie mondiali e dai venditori di armi, attratti dai lauti fondi sovrani in mano di pochi nababbi.

È bello vedere come quegli Stati abbiano potuto elargire il più sostanzioso sostegno alle popolazioni dell’Oceania devastate dallo tsunami, ma è preoccupante apprendere come certe ricchezze possano essere usate anche per sostenere docenti universitari e rettori di moschee (pure europee) predicatori integralisti e per dare paghetta perfino alle povere invise donne curde, purché accettino di indossare il velo.

Che alla base di tanti conflitti ci sia un problema di insegnamento all’odio verso l’altro ce lo conferma la storia: era così secoli fa quando circolavano armi meno micidiali di oggi per le stragi di massa, mentre sappiamo come nel secolo scorso i regimi nazi-leninisti dessero un peso all’indottrinamento ideologico delle masse non inferiore a quello delle armi.

È ovvio, dunque, concordare con tanti saggi anche islamici, che, parlando di terrorismo, ammettono «nell’islam abbiamo un problema educativo», come disse pochi giorni fa l’imam francese rettore della moschea di Villeurbanne o come già udimmo da giornalisti (Zouhir Louassini, marocchino: «è necessaria una rivoluzione nell’insegnamento, se si vogliono evitare le tragiche conseguenze che stiamo vedendo») e da uomini di stato (il giordano Hassan bin Talal: «noi islamici abbiamo fallito nel lavoro sugli educatori religiosi ... basta verificare quanto sia frequente il verbo uccidere nei testi scolastici per capire l’impatto che questo può avere sui nostri bambini»).

Non è ovvio per tutti, ma a chi mi rintuzza asserendo che trattasi primariamente di un problema di ignoranza popolare e di commercio delle armi, narro questa testimonianza che ha a che fare con i vertici dell’istruzione e niente con le armi: il Presidente di una Cassa rurale, andato in Senegal a portare aiuti per la costruzione di opere sociali, mi narra che nei villaggi trovava ottime relazioni tra la minoranza cristiana e la maggioranza islamica, tanto che si invitano reciprocamente alle rispettive festività e si celebrano matrimoni misti senza conversioni forzate; un paradiso di tolleranza? Purtroppo incombono minacce per questa pace, e non da parte del popolo semplice, ma dalla più dotta docenza universitaria islamica; in che senso? I giovani che vanno all’università di Casablanca o del Cairo tornano indottrinati integralisti cui non sta più bene quel clima di tolleranza verso i cosiddetti infedeli (kafir).

Tutta colpa degli altri che debbono riformarsi mentre noi saremmo i bravi civili in attesa che gli incivili si modernizzino? A pensarla così non saremmo noi cristiani, ma quelli che tutto sommato non piangono se il terrorismo jihadista facesse diaspora di quelle radici cristiane che sono viste zavorra per la cultura dominante dell’individualismo moderno occidentale sfruttatore delle persone in darwinismo sociale, quelli che, guarda caso, sono maggiormente interessati all’allineamento militare e finanziario con i nababbi galleggianti sui petroldollari; quelli che, guarda caso, violerebbero modo-occidentale gli stessi Art.18 e 19 della dichiarazione universale: ad esempio?

- negare ai medici nei pubblici ospedali il diritto all’obiezione di coscienza;

licenziare come rei di omofobia i pubblici insegnanti che invocassero la libertà di espressione per esprimere dubbi sulla fondatezza del diritto dei gay di affittare uteri;

- offendere la dignità della persona (in ciò che ha di più caro come il suo Dio) brandendo una libertà di espressione pretesa illimitata fino ad irridere qualunque religione come millantava la ministra francese Taubira.

Prima dunque di additare il problema educativo in casa d’altri, riconosciamo di avere un problema di emergenza educativa noi cristiani o ex-cristiani; peraltro il magistero petrino ci ricorda assiduamente che noi non mettiamo condizioni per il dialogo con i diversamente credenti, e chiediamo di poter dialogare perfino con quelli che ancora sostengono leggi liberticide in fatto di abiura e blasfemia, perché siamo convinti che al fondo del cuore di ogni uomo ci sia un anelito di senso della vita, di felicità e di infinito che ci accomuna e da cui sarebbe possibile partire per costruire percorsi di pace e di eventuale convergenza su una comune dichiarazione dei diritti umani.

Mentre non possiamo chiamare col termine bene o giustizia il male fisico arrecato ad innocenti, diciamo ai nostri occidentali che le suddette esasperazioni individualiste non solo fanno male al bene comune, ma allontanano la possibilità di incontro tra diversamente credenti.

Senza presunzione ricordiamoci che siamo chiamati da Cristo ad operare come sale della terra e luce del mondo, costasse essere perseguitati da opposti estremismi.

 

CzzC