Papa Fr1/Assisi: spogliarci dello SPIRITO DEL MONDO che è il CANCRO DELLA SOCIETÀ

Visita di Papa Francesco ad Assisi 04/10/23013: la mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all'orgoglio è un idolo, non è Dio. Spogliarci dello spirito del mondo, che è la lebbra, è il cancro della società e della rivelazione di Dio. La famiglia è la vocazione che Dio ha scritto nella natura dell'uomo e della donna.

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↑2013.10.09 [CzzC: estraggo da Vita Trentina 09 OTT2013 Pag 13: Chiesa (ma vedi anche La Stampa Vaticaninsider e Avvenire]

La Chiesa nuda - visita di Papa Francesco ad Assisi, il 4 ottobre

Un itinerario tutto francescano al di fuori dai canoni tradizionali privilegiando i poveri, i disabili e i sofferenti

“Oggi è un giorno di pianto”. “Queste cose fa lo spirito del mondo”. “E' una buona occasione per fare un invito alla Chiesa a spogliarsi”. E' iniziata con queste parole la visita di Francesco ad Assisi, il 4 ottobre scorso con negli occhi ancora le immagini della tragedia di Lampedusa, con quel tragico carico di morte che ha indotto il Papa a parlare di “vergogna”. Lo spogliarsi, sta per l'analogo termine denudarsi, alla stregua di quanto fece 806 anni prima San Francesco togliendosi le vesti e abbandonando la ricca eredità paterna davanti al genitore e al suo vescovo. E ancora: “La mondanità spirituale è un atteggiamento omicida. Uccide l'anima, uccide le persone, uccide la Chiesa”. Parole chiare dette dal primo pontefice, fra la quarantina che nei secoli hanno pregato sulla tomba del “poverello di Assisi”, a prenderne il nome e ad entrare nella “Stanza della spoliazione”.

.... Alle giovanissime generazioni il Papa si è rivolto così: ”E qui è Gesù nascosto in questi ragazzi, in questi bambini, in queste persone. Sull'altare adoriamo la Carne di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù”. “Hanno bisogno di essere ascoltate”, non secondo schemi mediatici che durano il tempo che durano, ma nella prospettiva della “speranza” e nella certezza che le piaghe Gesù “se l'è portate in Cielo, davanti al Padre” dicendo “a tutti noi: ti sto aspettando”. Nella Chiesa della Spogliazione il messaggio del Papa chiama in causa anche coloro che si considerano fuori, estranei, giudicando la sola gerarchia (papi, vescovi preti e suore) per dire “la Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato” e “tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso”. Per la Chiesa il “pericolo gravissimo” da cui deve spogliarsi “è la mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all'orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. E l'idolatria è il peccato più forte”.

Il tono è sferzante ed inusuale con ripetuti riferimenti ai media che rendono riduttivo il concetto stesso di Chiesa. <google> “Oggi qui – ha affermato Francesco – chiediamo la grazia per tutti i cristiani. Che il Signore dia a tutti il coraggio di spogliarci, ma non di 20 lire, spogliarci dello spirito del mondo, che è la lebbra, è il cancro della società. E' il cancro della rivelazione di Dio”. Nella piazza di San Francesco, la scelta del poverello è definita “un modo radicale di imitare Cristo, di rivestirsi di Colui che, da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà”. “L'amore per i poveri e l'imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, le due facce della stessa medaglia” in tutta la vita di Francesco. Con il suo cantico egli ha testimoniato – dice ancora il Papa - “il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo”. Dalla Città della pace il Papa ha invitato tutti “con la forza e la mitezza dell'amore” a rispettare la creazione a non essere “strumenti di distruzione” a rispettare ogni essere umano, ad abbandonare i conflitti armati “che insanguinano la terra”: “tacciano le armi e dovunque l'odio ceda il posto all'amore, l'offesa al perdono e la discordia all'unione”.

Non poteva mancare un riferimento al “grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra”, in Terra Santa, in Siria, nel Medio Oriente, in tutto il mondo. All'intero popolo italiano Papa Bergoglio ha espresso un augurio tutto particolare “perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide”. In San Rufino è tornato su un concetto a lui caro, quello della Chiesa che cresce non per “proselitismo, ma per attrazione della testimonianza”. Ha quindi invitato i vescovi ad essere “artefici dell'armonia nella diversità”, mamma e papà e catechisti a porsi quali autentici educatori della Parola di Dio, preti e parroci a camminare con il popolo, con la comunità: davanti per guidarla, in mezzo per sostenerla, dietro per tenerla unita, arrivando fino “alle periferie”. Alle suore di clausura, ha richiamato “l'umanità” per “capire tutte le cose della vita”, per “capire i problemi umani” per essere portatrici di “gioia” di quella “che viene dentro”, a sorridere, ma non con il sorriso di “un'assistente di volo”, curando la vita di comunità, di famiglia, in contemplazione di Gesù.

Coi giovani ha scherzato sulla tempestività delle risposte alle loro domande su famiglia, lavoro, vocazione e missione. <vatican> “La famiglia – ha ribadito il Papa – è la vocazione che Dio ha scritto nella natura dell'uomo e della donna, ma c'è un'altra vocazione complementare al matrimonio: la chiamata al celibato e alla verginità per il Regno dei cieli. E' la vocazione che Gesù ha vissuto”. “Ogni storia è unica”. Sugli altri temi posti Francesco ha risposto così: “Qui ad Assisi, qui vicino alla Porziuncola, mi sembra di sentire la voce di san Francesco che ci ripete: 'Vangelo, Vangelo'. Lo dice anche a me, anzi prima a me: Papa Francesco, sii servitore del Vangelo!. Se io non riesco ad essere un servitore del Vangelo, la mia vita non vale niente”.

Marco Zeni