ultima modifica il 11/11/2018

 

Art.18 della Dichiarazione universale diritti umani: com'è inteso nell'islam dominante?

Correlati: la dichiarazione universale è diversa dalla dichiarazione islamica dei diritti umani

Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

<wikipedia>:  siccome la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948/Parigi) NON È COMPATIBILE con la concezione della persona e della comunità che ha l'Islam, la comunità internazionale ha concesso agli stati islamici che adottano la sharia (si dovevano accontentare soprattutto Pakistan e Arabia Saudita alleati US, ma pretendevano correzione anche Sudan e Iran) di proclamare nel 1981 presso l’Unesco a Parigi, la versione islamica della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che, pur affermando pari dignità della donna, libertà di credo e di espressione, neutralizza il tutto con una clausola capestro: «La Sharia islamica è la sola fonte di riferimento per l’interpretazione di qualsiasi articolo di questa dichiarazione».

Sarebbe interessante appurare come intendano l'Art.18 della Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo: è  vero o no che la «libertà di cambiare religione»  sarebbe intesa come «diritto di invitare ad entrare nell'islam» e la libertà di «credere ciò che si vuole» sarebbe limitata a «che ciò avvenga entro i limiti stabiliti in proposito dalla Legge islamica»?

Cerco di documentarmi circa la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo come intesa negli stati a dominanza islamica

 

 

Traggo da Europaoggi 11/05/2007: Il martirio per i neo-cristiani provenienti dall'islam non è dunque una metafora, come documenta anche il libro I cristiani venuti dall'islam; o, se fortunatamente la conversione non approda a tali esiti estremi, essa rimane sempre un drastico cambio di vita, uno strappo spesso definitivo dalla patria e sovente anche dalla famiglia. ... Eppure - ecco il paradosso - come documenta in un impeccabile saggio introduttivo il gesuita Samir Khalil Samir (autorità indiscussa in islamologia), né il Corano né gli hadith (i «detti») del Profeta impongono una punizione per l'apostata, tanto meno la pena capitale.

La convinzione che quanti «rinnegano la fede» musulmana meritino la morte deriva invece da due tardi hadith spesso sbandierati dai fondamentalisti, ma sulla cui derivazione da Maometto molti teologi islamici nutrono serissimi dubbi.

«Né il Corano né la Sunna del Profeta - conclude Samir - autorizzano l'interpretazione dei fondamentalisti»; anzi, lo stesso Maometto non solo non ha mai ucciso nessun apostata, ma è intervenuto due volte a salvarne. Del resto, sono ormai numerose nello stesso islam le voci che discutono l'illegittimità del cambiare religione.

Ciò non toglie, purtroppo, che nei documenti internazionali gli Stati islamici sottopongano sempre il riconoscimento dei diritti fondamentali alla sharia, cioè alla legge islamica; persino la Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo, ad esempio, nella sua traduzione araba modifica l'articolo 18

- (sulla «libertà di cambiare religione») in «diritto di invitare ad entrare nell'islam»

- e la libertà di «pensare o credere ciò che si vuole» è limitata a «che ciò avvenga entro i limiti stabiliti in proposito dalla Legge islamica»...

 

[CzzC: Chiesi ad Europaoggi il testo in arabo così accusato, ma non ebbi conferma. Chiesi allora ad un sacerdote maronita che 2012.11 mi rispose smentendo la suddetta supposizione di storpiatura «il testo in arabo è fedele al testo originale, ma i paesi islamici hanno un altro testo di diritti dell’uomo, basandosi sul loro credo coranico».

Proseguo cercando documenti circa la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948 come intesa negli stati a dominanza islamica]