OGM: la CISGENESI è diversa dalla TRANSGENESI

La Cisgenesi o mutagenesi mirata non inserisce nel DNA materiale genetico estraneo alla specie, come avviene invece con la Transgenesi

[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 19/03/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]

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2024.03.11 e 19 Conferenza/TN «Vita artificiale» <locandina> dell’incontro con Maria Chiara Carrozza (presidente del CNR, prof. di Ingegneria Biomedica e Robotica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) e con Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la vita, docente di bioetica. È possibile una conciliazione tra etiche e pratiche diverse dalle piante OGM alle modificazioni del DNA umano? Tra il naturale e l’artificiale? Per gli impatti più rilevanti in ambito economico, politico, militare e sociale? [CzzC: «Socialità artificiale» è il titolo del prossimo incontro 19Mar con Franco Bernabé e Irene Graziosi: qui appunti]

 

↑2023.07.06 <agi> per far sì che il DNA delle piante sappia renderle più resistenti ad agenti dannosi, onde gli agricoltori possano usare meno pesticidi, non ci sono solo le tecniche soggette alla legislazione OGM, che vieterebbe di usare per l'alimentazione umana tali vegetali OGM, ma anche le nuove tecniche genomiche di mutagenesi mirata o CISGENESI (tecnica che non inserisce nel DNA materiale genetico estraneo alla specie, come avviene invece nella TRANSGENESI): l'UE sta aprendo a tali nuove tecniche.

 

↑2012.03.24 <corriere> La questione OGM: quanta confusione dopo le dichiarazioni del Ministro per l'Ambiente: si è scatenato un dibattito pieno di dichiarazioni contrastanti, giudizi entusiastici o fortemente critici, professioni di ottimismo per possibili vantaggi o di pessimismo per il timore di danni per la salute e per l’ambiente. In questi giorni ha toccato il parossismo.

Ha iniziato il Ministro per l’ambiente dichiarando in un’intervista su questo giornale (giovedì 15 marzo) che “senza l’ingegneria genetica oggi non avremmo alcuni fra i nostri prodotti più tipici”. E dopo averne citati alcuni, tra cui il grano duro, il pomodoro San Marzano e il basilico ligure, ha concluso dicendo che questi prodotti “sono stati ottenuti grazie agli incroci e con la mutagenesi sui semi”. Architettato in questo modo, il discorso non poteva non portare chi non sa niente di genetica (praticamente la stragrande maggioranza di noi) a credere che quei prodotti tipici fossero stati ottenuti grazie alle tecniche di ingegneria genetica, quelle appunto che si utilizzano per produrre gli OGM . Sbagliato, gli incroci e la mutagenesi che, come dice giustamente il ministro, ci hanno dato quei prodotti, non generano OGM perché non introducono geni estranei nell’organismo su cui si opera, ma rimescolano (nel caso degli incroci) o modificano (come nel caso della mutagenesi operata su alcune varietà di grano duro come il Creso) quelli che l’organismo naturalmente possiede nel suo genoma. Dunque, se avete paura degli OGM, state tranquilli, il pomodoro San Marzano (se lo trovate) o il basilico ligure per il pesto genovese non sono transgenici. Bene ha fatto la Coldiretti a chiarire immediatamente la questione, altrimenti si rischiava un crollo nei consumi dei prodotti tipici citati dal ministro!

Alle parole del ministro sono seguite tante dichiarazioni di esperti o presunti tali. E la confusione è aumentata. Il prof. Veronesi ha dichiarato su un quotidiano nazionale (Unità del 16 marzo) che “le moderne biotecnologie sono la naturale evoluzione del progresso avviato dagli agronomi nel secolo scorso con la rivoluzione verde per risolvere il problema del cibo e dell’acqua nel mondo “.  ... I dati però sono questi: il numero degli affamati è sceso sì a 870 milioni nel periodo iniziale della rivoluzione verde, ma poi è risalito ad oltre un miliardo e cento milioni. La rivoluzione verde, impostata sul modello dell’agricoltura industriale occidentale - costosissima in termini economici, ambientali e energetici - ha portato ad un aumento dei costi insostenibile fin dall’inizio in Africa e poi in altri paesi in via di sviluppo.

Il costo maggiore è stato, secondo i genetisti, la perdita di gran parte delle specie e delle varietà di piante utilizzate localmente da secoli per alimentare le popolazioni locali, un patrimonio inestimabile di variabilità genetica da cui i genetisti hanno sempre attinto per creare attraverso incroci e miglioramento genetico convenzionale (quindi no OGM) nuove varietà più adatte a determinate situazioni pedoclimatiche e agronomiche. La perdita di tale biodiversità potrebbe determinare una tragedia immane in un periodo di cambiamento climatico come quello attuale che necessita di varietà che si adattino a tali cambiamenti (dati FAO). L’esperienza della rivoluzione verde deve servire dunque come monito e invitare alla cautela chi appoggia l’introduzione delle colture GM nei paesi in via di sviluppo.

Il prof. Veronesi fa altre due affermazioni che meritano di essere commentate. “ Le piante biotech, essendo più resistenti alle malattie, porteranno anche alla diminuzione dell’uso dei pesticidi; con enormi vantaggi ambientali ed economici, perché per gli agricoltori il costo di protezione dei raccolti sarà molto inferiore”. Io non sarei tanto ottimista. ... Sarebbe una storia infinita! Riguardo al risparmio evocato per gli agricoltori, c’è da dire che i semi transgenici vengono pagati sempre di più dagli agricoltori anche perché gravati dai costi crescenti derivanti dalle royalties imposte alle multinazionali.

E ancora, per sostenere a spada tratta la causa degli OGM Veronesi sostiene che “Oggi l’insulina è prodotta con un batterio, l’Escherichia coli in cui è stato inserito il gene che produce l’insulina nell’uomo”. Qui c’è chiaramente una forzatura. Non si può omologare questa sostanza (l’insulina) alle piante transgeniche perché non si consuma il batterio transgenico che lo produce ma l’insulina prodotta che poi viene accuratamente purificata. Invece le piante transgeniche o loro parti vengono utilizzate come alimenti tali e quali [CzzC: la legislazione OGM vieta l'uso alimentare dei vegetali con mutazioni TRANSGENICHE; non far confusione con la CISGENESI: vedi titolo]

Inoltre, mentre i batteri vengono mantenuti nei fermentatori chiusi delle aziende farmaceutiche, per le piante transgeniche esiste il rischio concreto che esse si possano diffondere nell’ambiente attraverso i pollini e i semi. Questi infatti sono trasportati a distanza non solo da agenti naturali come vento, acqua, insetti e animali terricoli, ma inavvertitamente anche dall’uomo. Ad esempio, un agricoltore che ha nel suo campo una varietà transgenica in fioritura, si impregna inevitabilmente di polline. Andando a trovare un agricoltore amico anche a 100 km di distanza, che ha la sua stessa coltura, ma non geneticamente modificata,, può inquinare con il suo polline questa coltura. Stesso rischio con i semi transgenici. Se uno solo si attacca alle suola delle scarpe o alle pieghe dei pantaloni, l’agricoltore se lo porta in giro e può diffondere così inconsapevolmente piante transgeniche anche a miglia di chilometri di distanza (se fa un viaggio in aereo). Un illustre scienziato, il prof. Boncinelli conferma anche se in maniera un po’ tortuosa l’esistenza di questo rischio quando afferma che (Corriere della sera, 16 marzo) “Certi organismi potrebbero sfuggire al controllo e andare a invadere altri campi o allevamenti. Ciò non è impossibile ma estremamente improbabile” . Improbabile”, stando al Sabatini Colletti è “un evento che, sulla base di considerazioni ragionevoli, non dovrebbe accadere” , quindi non c’è certezza che non accada.

Ma non finisce qui. Due genetisti di chiara fama, lo stesso Boncinelli prima citato e il prof. Buiatti hanno espresso opinioni completamente diverse riguardo alla nocività degli alimenti GM. Il primo sostiene che : “In teoria non c’è alcuna possibilità che nuocciano, perché non può essere un gene in più o in meno, oltre alle decine di migliaia che questi esseri già contengono, che li rende pericolosi”. Il secondo invece è del parere che “l’alto grado di imprevedibilità derivante dal trasferimento di geni tra organismi anche molto diversi l’uno dall’altro, richiede una particolare attenzione”. Mi schiero decisamente dalla parte del secondo perché, data la complessità delle interazioni tra i geni di cui non si ha ancora completa conoscenza, non è possibile oggi prevedere tutti gli effetti che l’introduzione di geni estranei può determinare a livello della qualità dei prodotti. Da più parti si è parlato in questi giorni anche di OGM in relazione alla qualità e alla tipicità dei prodotti. A mio avviso, la qualità non si migliora soltanto arricchendo alimenti di particolari sostanze mediante le modificazioni genetiche (ad esempio il riso che è stato arricchito, ma di ben poco, di vitamina A e poi si parla di arricchire tanti prodotti di sostanze salutari). In questo modo un alimento assume più la funzione di integratore che quella di nutrimento. Per il consumatore, la qualità alimentare è data invece dal concerto di tante diverse qualità, nutrizionale (contenuto in nutrienti), organolettica (sapore e aromi), salutistica (equilibrato pool di sostanze salutari) e sanitaria (assenza o ridotto contenuto di pesticidi e di altre sostanze nocive). E tutto ciò si può ottenere, oltre che ricorrendo alle varietà adatte, adottando delle buone pratiche agricole che rispettano la fertilità naturale dei suoli e non rendano necessarie eccessive concimazioni azotate. È ormai chiaro che le concimazioni con nitrati, che pure hanno il merito di aver contribuito ad aumentare le produzioni di cibo in maniera strabiliante, influenzano negativamente diversi aspetti della qualità se gestite scriteriatamente. Nel caso del grano ci sono dati scientifici che fanno addirittura sospettare che esse, insieme al miglioramento genetico, abbia portato ad un aumento delle frazioni di glutine coinvolte nella celiachia.

Per concludere, non sono contrario alla ricerca sulle piante agrarie transgeniche a condizione però che essa sia svolta in modo da garantire la assoluta sicurezza, e che sia utile per l’avanzamento delle nostre conoscenze e non per servire interessi di bottega. Ma il furore per la modernità dell’ingegneria genetica non deve farci dimenticare che esistono altri campi di ricerca, come la fisiologia vegetale, la genetica classica, l’agronomia e l’ecologia agraria, che possono dare risultati utili per fare un’agricoltura che produca in maniera soddisfacente e dia prodotti di qualità. Lavori scientifici, come quello durato un ventennio che ha riguardato la sostenibilità, in termini ecologici ed energetici dell’agricoltura biologica e biodinamica (i risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Science qualche anno fa), sono quanto mai preziosi e attuali. Perché noi abbiamo oggi il difficile compito di trovare soluzioni affinché l’agricoltura continui a dare alte produzioni, ma di qualità, e nello stesso tempo cessi di essere causa di degrado ambientale e di spreco di acqua e fonti energetiche non rinnovabili. Ci sono tanti aspetti della nostra agricoltura che vanno rivisti e corretti (selezione varietale, gestione della fertilità dei suoli, rispetto del territorio e della biodiversità, impiego di pesticidi, consumi idrici ed energetici). L’introduzione delle piante transgeniche in questo contesto agricolo così deteriorato, e senza cambiare mentalità e metodo, rischia di essere, a mio avviso, un rimedio inutile se non addirittura peggiore del male.

Prof. Matteo Giannattasio

Docente di “Alimenti e salute del consumatore” all’Università di Padova (m.giannattasio@libero.it)

24 marzo 2012 (modifica il 25 marzo 2012)