CALIFFATO e patto di Omar: umiliazioni codificate per i cristiani

Trassi da Avvenire 18/07/2014p6. Si deteriora la condizione dei cristiani nei paesi islamici dove sono trattati alle condizioni del Patto di Omar”, con vessazioni e umiliazioni che intendono ricordare continuamente ai cristiani la loro condizione di inferiorità

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↑2014.07.18 Quelle umiliazioni «codificate» e testate dalla storia

Il califfato è regolato da un’antica serie di misure contro le minoranze tenute a ricordare la loro condizione di «inferiorità»

CAMILLE EID

Non vengono dal nulla le misure anti-cristiane introdotte dal califfato di Baghdadi nei territori che ora occupa in Iraq e Siria. Il regime giuridico, ispirato al Corano e alla Sunna, che regola il rapporto con i cristiani – definiti insieme agli ebrei 'Gente del Libro' – si limita a riconoscere loro libertà di culto e tutela dei beni in cambio del versamento al califfato di una tassa di capitazione, la «jizya».

Ben presto nel mondo arabo, la condizione dei cristiani si deteriora a causa dell’introduzione della lunga serie di condizioni, nota nelle fonti arabe come “Patto di Omar” e attribuita al secondo califfo. Le condizioni sono dettagliate dal giurista Ibn Qayyim al-Jawziyya (morto a Damasco nel 1350) nel suo famoso “Disposizioni sui dhimmi”, ossia la gente protetta. L’autore è considerato una figura di riferimento per i salafiti moderni insieme al suo maestro Ibn Taymiyya, un convinto sostenitore del jihad contro gli infedeli. I divieti imposti abbracciano tutti i settori della vita; un elenco di umiliazioni distillate che intendono ricordare continuamente ai cristiani la loro condizione di inferiorità. Viene proibita ogni manifestazione pubblica del culto cristiano, come il suono delle campane, le processioni nelle strade e l’esposizione delle croci. Vi è anche il divieto di costruire nuove chiese o di riparare quelle rovinate e il divieto di apostolato tra i musulmani, mentre si menziona l’obbligo di accettare la conversione di propri parenti all’islam. All’impegno fiscale si aggiunge il divieto di assomigliare ai musulmani negli abiti, nei turbanti, nei calzari e nell’acconciatura di capelli e l’obbligo di cedere il posto a sedere ai musulmani nei luoghi pubblici. Vi è anche divieto di cavalcare cavalli, di cingersi di spada o altre armi, di scolpire sigilli in lingua araba e di usare nomi arabi. Vi poi divieto, ovviamente, di sposarsi con donne musulmane o di erigere abitazioni più alte di quelle dei musulmani. Infine, un cristiano non può più assumere cariche pubbliche né prestare testimonianza nei tribunali.

[CzzC: ti chiederei il favore di passarmi il link di un’eventuale intervento delle commissioni ONU per i diritti mani che inquisisse gli stati aventi norme vessatorie della specie. Perché non ne conosci? Perché l’ONU non vuol perdere i finanziamenti oleosi che gli arrivano da quegli stati? O perché l’ONU è impegnata a criminalizzare il Vaticano inquisendolo di tortura?]

Fino a che punto tali prescrizioni siano state rispettate rimane da verificare. Certamente, l’applicazione non è stata capillare ed è variata notevolmente al mutare delle condizioni locali e delle élite musulmane al potere. Sotto alcuni califfi (come l’abbaside al-Mu’tasim, prima metà del IX secolo) troviamo addirittura ministri cristiani alla corte, mentre sotto altri (in particolare al-Mahdi e al-Mutawakkil) le discriminazioni sono state applicate con particolare rigore.

Bisogna aspettare la fine dell’epoca ottomana per assistere, sotto la spinta di alcuni Stati europei, a un tentativo di riforma che contempla un’uguaglianza civile tra tutti i sudditi dell’Impero. Ora le lancette del tempo sembrano tornare di nuovo indietro.

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