MEDIOCRI CORTIGIANI, compresi taluni ALTOLOCATI “ROMANI”: GIORGIO GRIGOLLI rincara il cristelliano inno alla disobbedienza in progressismo locale oltre le vedute e i timbri di Roma

Sul settimanale diocesano Vita Trentina #34 04/09/2011 pag 38 il Cristelli, setacente don, cantò un inno alla disobbedienza ecclesiastica dando voce agli indignados; su VT#36 lessi poi di qualche lettore che prese distanza da tale inno, ma ecco Grigolli applaudire e rincarare ...

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Pagine correlate: Vita Trentina; svedoRoma

 

2011.09.22 Trassi da VT#37 p38  Dialogo aperto

Dove vai, Chiesa di Trento?

Di Giorgio Grigolli

... Corrispondere, come, a don Lauro? Dove vai, Chiesa di Trento? Il prossimo – dice - dovete incontrarlo guardandolo negli occhi. ... Su tutto il “vedere” di momento - viene da dire - incombe un fenomeno non puramente “cattolico”, l’indignazione. E’ tutta ribollente, di fronte alla drammatica cronaca politica, consegnataci da un Primo Figurante, adesso soccombente di suo. Non pochi dovrebbero fare esame di coscienza, fin qui solo mediocri cortigiani, compresi taluni altolocati “romani”, di qua e di là dal Colonnato, che ci hanno consegnato il loro centellinato silenzio. Tuttavia, è vero che il mondo cattolico è ancora vitale, per quanto diviso in componenti molto diverse e non solo tra destra e sinistra.

   De Rita, il sociologo, osserva che manca un federatore. Di personaggi come Degasperi, Moro e G.B. Montini non c’è oggi né eredità né sentore. Comunque, i cattolici, uniti o distinti (impensabile una “nuova Dc”), possono essere un fattore di riabilitazione della politica. La vera sfida occorrerebbe stabilirla sui valori [CzzC: quelli non negoziabili? Al di là di quelli forse pensa] occorrerebbe delinearli meglio, evidenziarli anche nella comunicazione-azione esterna. Quello che non è avvenuto, ad esempio, nella recente Settimana sociale di Reggio Calabria. I problemi più gravi della Chiesa dei nostri giorni, ben più che legati a strutture, sono di tipo culturale. Mi torna in memoria l’irrompente Giancarlo Zizola. Le aperture del tutto nuove del Vaticano II, per essere coltivate, richiedono una profonda riconversione culturale, insieme filosofica e teologica, perché solo a quel patto la direzione intrapresa dal Concilio può essere realmente portata avanti e non sopita, non tradita. [CzzC: non gli bastano i documenti del CV2°, è lo spirito del CV2°, come inteso dall’ermeneutica di rottura, il suo lume].

    In attesa di un “dopo”, contribuendo a costruirlo, a “rifondarlo” (altro che un Lefebvre da “riconvertire”!) si fa opportuno anche un discorso di metodo. Ultimamente, al Congresso eucaristico di Ancona, il card. Bagnasco, presidente della Cei, ha sottolineato l’esigenza di un “insieme”. “E’ insieme che si percorrono le vie del servizio se non si vuole essere velleitari, ancorché generosi, per essere significativi ed efficaci… insieme secondo le forme storicamente possibili, con realismo e senza ingenuità o illusioni, facendo tesoro degli insegnamenti della storia”. Insisterei su questo incitamento. Una sede propria del dialogo costruttivo, in aperto confronto, dovrebbe essere la consulta diocesana dei laici. Del tutto deluso, da esponente dell’Ucsi, registro che, a sei mesi dall’elezione di una nuova presidenza, tutto è fermo. A Trento, silenzio e vuoto. Il tempo richiede anche ai cattolici di essere significativi. Troppo spesso i laici, nelle grandi episodiche, si trovano autoritativamente “frenati”, talvolta “barricati”, tra direttive imperniate su valori cosiddetti “non negoziabili. Un indeformabile spesso male specificato. Ciò che adesso tornerà evidente, riflesso dal dibattito alla Camera sulla legge del biotestamento. Così come ora risulta, con fratture, non puramente di valore costituzionale, a dividere le opinioni, anche tra i cattolici. Guardo con rispetto alle tendenze di mediazione che esponenti di impronta “cattolica” tendono a inserire nel dibattito, rispetto a connotati di puro opportunismo, di connubio tra poteri. Mediare, nell’aula, è un dovere. Negoziare non significa rinunciare ai valori, né comprometterli, ma investirli. Nella parabola dei talenti, l’unico servo punito è quello che non ritenendo negoziabile il suo talento, lo sotterra. Dico qui, anche a rischio di stilettate di qualche lettore, ultimamente destinatario Vittorio Cristelli, rispetto a qualche sua personale e pertinente “veduta”, espressa sul settimanale.