La RAGIONE MAESTRA DI CONOSCENZA

Oggi siamo portati a pensare che ciò che non è sottoponibile al metodo logico-matematico e all’esperimento non sia né razionalmente conoscibile né in definitiva reale. ma ...

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2009.08.gg traggo da <Avvenire>

IL TEMA: la ragione maestra di conoscenza

Il filosofo Carmine Di Martino commenta il tema che per 7 giorni terrà banco a Rimini Una sfida al pensiero dominante

 DI GIORGIO PAOLUCCI

 I titoli del Meeting non sono mai facili, ma lasciano il segno, spesso provocano discussioni e polemiche infuocate. La spiegazione di quello di quest’anno – «La conoscenza è sempre un avvenimento» – è stata affidata a un filosofo, Carmine Di Martino, che ne parlerà nell’auditorium principale lunedì 24 agosto. Di Martino insegna Gnoseologia all’Università Statale di Milano. Tra le sue pubblicazioni recenti, «Segno, gesto, parola. Da Heidegger a Mead e Merleau-Ponty» (Ets, 2006) e «Figure dell’evento. A partire da Jacques Derrida» (Guerini e Associati, 2009).

 Il Meeting mette a tema due parole come conoscenza e avvenimento, travisate o poco utilizzate nel linguaggio comune. Ma non vuole farne elaborazioni teoriche, bensì andare al cuore di temi che segnano la vita dell’uomo contemporaneo. Cominciamo dalla parola conoscenza, che nella mentalità comune viene intesa come un derivato della scienza.

 Oggi siamo portati a pensare che ciò che non è sottoponibile al metodo logico-matematico e all’esperimento non sia né razionalmente conoscibile né in definitiva reale. Ci siamo rassegnati a 'credere' che la ragione con la 'R' maiuscola sia quella scientifica e che la realtà vera non sia quella di cui facciamo esperienza, ma quella che la scienza ha 'ridotto' in un modello. Ma come la ragione non si lascia ridurre ad un solo metodo, così la realtà è più ricca, ha molti più strati di quelli che l’osservazione scientifica seleziona, legittimamente, per i suoi scopi. Se dico per esempio: 'Tu sei un uomo come me', non ho affatto bisogno di usare una ragione scientifica e sono perfettamente razionale. Quando m’interrogo sul perché una persona si comporti in un certo modo, cerco di conoscere le sue motivazioni: tali motivazioni 'esistono' e io procedo in modo razionale se non utilizzo il metodo matematico o sperimentale. Bisogna liberarsi dell’ideologia scientista, per non rinunciare ad essere uomini, cioè razionali, di fronte alle sfide del presente.

 La seconda parola-chiave è avvenimento. Cosa è 'avvenimento'?

  E perché l’avvenimento è un modo privilegiato per conoscere la realtà?

 Avvenimento è tutta la realtà colta nella sua abissale gratuità, nel suo accadere improducibile e improgrammabile, nella sua irriducibilità a qualsivoglia schema o definizione. Prenda la nascita di un bambino: per quanto sia preparata e attesa, il bambino che giunge è qualcosa di assolutamente nuovo, assolutamente altro, sorprende ogni previsione. In questo senso è un avvenimento.

  Avvenimento è la realtà nella sua non-deducibilità: essa mi colpisce e mi mette in movimento. Non ci sarebbe conoscenza senza avvenimento: la conoscenza è infatti la risposta propria dell’uomo all’irrompere dell’avvenimento.

 In che senso il Meeting può essere un avvenimento?

 Il Meeting è un avvenimento se lì accade qualcosa di nuovo, che non è il semplice prodotto dello sforzo di chi lo costruisce. L’avvenimento non è il risultato di un’organizzazione, pur efficiente e creativa; esso accade attraverso le persone che vi partecipano, a vario titolo, con la loro disponibilità e consapevolezza, con la loro domanda e la loro ferita, ma accade come un effetto superiore a tutte le cause. E questo è ciò che rende 'unico' un appuntamento, un luogo, un fenomeno umano. In quest’ottica, direi, solo l’avvenimento è interessante.

  Tutto il resto annoia.

 Cosa pensa dell’affermazione che la sfida più importante per i cristiani sia riaffermare 'la fede come metodo di conoscenza'? Secondo alcuni è più importante la battaglia per la difesa di certi principi etici (pace, giustizia, solidarietà). Che nesso c’è tra l’affermazione della fede come metodo di conoscenza e la promozione di questi temi etici?

 Anzitutto mi sembra lodevolmente controcorrente l’affermazione che 'la fede è un metodo di 'conoscenza': una conoscenza indiretta, ottenuta attraverso la mediazione di un testimone. La riduzione di cui parlavamo prima ci fa dimenticare che la maggior parte delle nostre conoscenze sono attinte con questo metodo, senza del quale non ci sarebbero la cultura, la storia, la convivenza. Ma l’affermazione di cui lei parla dice anche che la fede stessa, in senso stretto, è una conoscenza. Credo sia decisivo: rimette in questione quell’opposizione tra un sapere razionalisticamente concepito e un credere perfettamente estraneo al sapere che abbiamo ereditato dalla modernità. Se il punto di partenza della fede cristiana non è un’immaginazione religiosa, ma – secondo quanto essa dice di se stessa – l’incontro con un fatto tangibile, con un fenomeno umano diverso, essa esige tutto il percorso della ragione davanti a quel fatto (o avvenimento) e all’esperienza che esso rende possibile, in vista di un’adesione motivata.

  Senza questo, vi sarebbe solo fideismo. Non penso che ciò si opponga alla promozione dei valori etici; semplicemente sottolinea la necessità del riconoscimento (conoscenza) di quel fatto attraverso cui storicamente essi si sono resi chiari alla coscienza degli uomini e concretamente vivibili. Si possono mantenere, secondo lei, le conseguenze senza l’origine?

 Spesso l’esperienza religiosa viene presentata come sinonimo di chiusura, divisione e intolleranza. Al Meeting si ' scopre' il contrario...

 Al di là di un discorso sull’esperienza religiosa, è interessante smascherare quello che oggi è divenuto un articolo di fede: si può essere aperti solo se non si è certi di niente, non si ha niente da dire, da affermare, da amare. Cioè se si è dogmaticamente relativisti, di quel relativismo che tende intrinsecamente ad assolutizzarsi, negando validità ad ogni altra posizione. Ma così viene minacciato proprio l’incontro con l’altro.

  Questo, infatti, presuppone l’identità, la coscienza critica di ciò che sono, la comunicazione di quello che vivo. Non esistono apertura viva e vera simpatia – ben diversa dalla tolleranza, che è la prima negazione del rapporto – che non derivino da una sovrabbondanza vissuta, dalla certezza che sorge da un’esperienza ( il contrario di un arroccamento ideologico o fazioso), da un desiderio di continua verifica di essa. È evidente nel bambino: si muove con simpatia e apertura verso gli altri quanto più è certo del rapporto con i genitori; dove non si dà questa certezza dominano aggressività e paure, un’ipertrofia dell’istinto di difesa. E poi occorrerebbe guardare quello che accade. Forse anche il Meeting, da questo punto di vista, contribuisce a sconvolgere certi modi di pensare.