Enrico Finotti: il Concilio Vaticano II 50 anni dopo

il Concilio Vaticano II accolto come un fatto teologico e riscoperto nell'autenticità dei suoi documenti sotto la permanente guida del magistero della Chiesa è affidato in primo luogo ai sacri Ministri”, vescovi, presbiteri e diaconi, che non parlano da sé offrendo proprie dottrine ma agiscono “in Persona Christi”.

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Pagine correlate:  due ermeneutiche, spirito del CV2°, Concilio dei media, magistero petrino, catechesi, la sfida educativa; concili

 

Trassi da VT#41 21/10/2012 Pag 16: Chiesa trentina

di Sonia Severini

16 OTT2012

Il Concilio nel magistero

Nell’avvio dell’anno della Fede, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), esce in questi giorni il libro “Vaticano II – 50 anni dopo” di don Enrico Finotti, parroco di San Maria del Carmelo, a Rovereto

Il testo, quasi cinquecento pagine, edito da “Fede&Cultura” svolge una particolareggiata analisi su come deve essere interpretato il ventunesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, ovvero seguendo il magistero del Papa e dei vescovi, quest'ultimi in comunione con “Pietro”. Si prende in esame un breve periodo della recente storia ecclesiale, dall’avvio del Concilio alla fase post-conciliare, dove si sono diffusi “pregiudizi gratuiti e infondati”, una “ragnatela di preconcetti”, che “ha invaso l’orizzonte culturale postconciliare” ed ha “imbavagliato i pronunciamenti anche in ambienti di levatura accademici”. Pregiudizi alla cui diffusione hanno molto contribuito anche i mass-media.

Si è dunque creata una spaccatura all’interno della Chiesa tra i cosiddetti “tradizionalisti”, che rifiutano tutto ciò che è avvenuto nella Chiesa dopo il 1962, e i “progressisti”, che vedono nel Concilio una ventata di novità che spazza in un colpo solo quasi duemila anni di storia ecclesiale.

In riferimento all’“indissolubile unità tra lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II”, Benedetto XVI parla di due ermeneutiche contrarie: quella della “discontinuità e della rottura”, che ha causato confusione e quella della “riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato”.

Ma le riforme applicate nei decenni successivi al 1965 non è detto che scaturiscano tutte dal Concilio, il quale non bisogna dimenticare ha fatto fare dei passi enormi alla Chiesa. Nella relazione finale del Sinodo straordinario dei Vescovi, nel ventesimo anniversario del Concilio (1985) si legge: “In nessun modo tuttavia si può affermare che tutto quanto è avvenuto dopo il Concilio è stato causato dal Concilio”.

L’avvio del Concilio fu accolto con grande entusiasmo e attesa universale, definito, come i concili precedenti, una “nuova Pentecoste”. “Questo era il pensiero di Giovanni XXIII e dei Padri conciliari sul Vaticano II”, commentò all’epoca don Joseph Ratzinger.

Il libro si divide in tre parti (quattordici capitoli): la prima riflette sul Concilio in generale, la seconda considera la riforma liturgica in particolare, la terza si apre sugli orizzonti della “civiltà dell’amore”.

Nell'epilogo l'autore conclude scrivendo che “il Concilio Vaticano II accolto come un fatto teologico e riscoperto nell'autenticità dei suoi documenti sotto la permanente guida del magistero della Chiesa è affidato in primo luogo ai sacri Ministri”, vescovi, presbiteri e diaconi, che non parlano da sé offrendo proprie dottrine ma agiscono “in Persona Christi.