Le PROCESSIONI in generale sarebbero da dismettere perché solo apparenza?

«La Processione delle palme sarebbe solo APPARENZA» mi disse una parrocchiana: stimolato da tale affermazione, annotai per il bollettino interparrocchiale la riflessione in data 2011.05. Sostengo l’importanza dell’essere più che dell’apparire (esse quam videri), ma anche il comunicare è funzionale all’essere: attenzione, però, a non farsi strumentalizzare da chi intendesse usare le processioni religiose, anziché in rimando a Dio, per marcare il territorio con la sua lobby: ad esempio 2023.05

[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 16/05/2023; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]

Pagine correlate: presenza anche pubblica da sostenere

 

2023.05.15 <avvenire> Il Vescovo di Aversa Angelo Spinillo ha deciso di limitare a soli 3 giorni l’annuale processione della Madonna di Casaluce♫: Vescovo e clero dialogano con i membri dei vari comitati festeggiamenti, costituiti in genere da gente onesta, disposta ad ascoltare la voce del pastore, ma capita anche di avere a che fare con persone prepotenti; ed ecco la città invasa da manifesti contro il vescovo, con toni da camorristi.

 

2011.05.gg <ComInCamm.pdf> Nella domenica delle Palme la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rametti tagliati dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione (cfr. Gv 12,12-15). La Celebrazione liturgica in ricordo di questo evento si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove si radunano i fedeli, e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma che sono portati in processione fin dentro la chiesa.

La mattina dello scorso  17 aprile, domenica delle Palme, mi stavo dirigendo  verso Piazza della pace, dove il parroco si avvicinava per benedire le palme, quando una signora, che mi camminava appresso verso lo stesso appuntamento, mi chiese perché il parroco non benedicesse le palme sul sagrato, evitando che venissero calpestate in malo modo sulla pubblica piazza in disordinato arraffare. Le risposi che più del caplestìo di qualche foglia era importante il significato della processione. Ma si tratta di foglie benedette, replicò lei. Le feci notare che anche quelle usate per Gesù furono probabilmente calpestate, ma ben più conta l’usarle in pubblica processione, come allora. Lei ribatté che, dunque, ci interessava l’apparenza. Più che di vanésia apparenza, aggiunsi, si tratta di importante testimonianza.

Perché narro un episodio tanto banale?

Perché ritengo le obiezioni della signora tutt’altro che rare nei confronti delle processioni, a riflesso di una concezione alimentata dalla cultura dominante, cui sta bene che i cattolici facciano tanta carità materiale, ma preferibilmente come lievito invisibile a supporto di una Pubblica Amministrazione aconfessionale (mi sta bene l’aconfessionalità, meno l’invisibilità), la quale propenderebbe per ammetterebbe solo le manifestazioni turistico-sportive, media-visive, partitiche, sindacali e della piazza che democraticamente tifa per la propria idea o contro l’avversa. Le processioni cattoliche, diciamolo francamente, sarebbero mal tollerate da molti cittadini, se non fosse che da qualche parte servono come folclore utile al turismo. Senza ricordare i regimi totalitari che ancora perseguitano la presenza pubblica della religione (sarebbe rischioso parlar male della potente Cina, o della potente massoneria che fece scrivere perfino nella costituzione di qualche stato il divieto di processioni religiose), ricordo che, una decina d’anni fa, una finestra spalancata su via Dante sparava musica assordante sopra la processione cittadina che passava di lì, ed echeggia ancora nelle mie orecchie il moto “tornate in sacrestia” che udivo sibilare ai fianchi di processioni liturgiche cattoliche.

Cattoliche? Specifico, perché i protestanti hanno capito da tempo che è più conveniente  adeguarsi alla suddetta cultura dominante, salvo magari pretendere di fare ancora oggi la processione storica che nell’Ulster rimembra la guerra vinta contro i cattolici; peraltro anche qualche teologo nostrano ritiene la processione una pratica di origine pagana senza fondamento biblico.

Sto ironizzando i fratelli cristiani?  Sono pessimista?

No. Ironico sarà semmai quel maestro di catechesi che, a proposito della processione del Corpus Domini, sbottò con un  “sarìa ora de finirla de portarlo en giro a ciapàr aria”. Vedo con ottimismo, invece, le diocesi che incoraggiano la partecipazione a processioni e pellegrinaggi (ad es. quello dei nostri giovani a Piné, quello per incontrare il Papa a Mestre o a Madrid) e l’adesione si nota, pure crescente in alcuni casi, non solo nei paesi che cercano di liberarsi dai divieti di manifestare la propria fede in pubblico, ma anche nel mondo libero (vedi Macerata-Loreto,  le processioni del Venerdì Santo a Roma col Papa, in migliaia di città, perfino sul Ponte di Brooklin; i pellegrinaggi ad Assisi, Lourdes, Fatima; la GMG, …). Leggo con ottimismo e fiducia le indicazioni del Magistero petrino che riconosce le processioni legate a modelli biblici, ma anche connesse con la cultura, due componenti che devono essere in equilibrio, per non far scadere l’importanza del segno salvifico. Collegate a questo significato, le processioni sono diventate una componente della liturgia cristiana, per la comunità di Gesù che si riconosce come "il popolo di Dio in cammino" su quello tracciato dal cammino di Gesù.

Quale importanza ha la processione?

Dal punto di vista pastorale la processione rappresenta una provvidenziale "superficie di contatto" tra la Chiesa dei fedeli e il tessuto civico in cui siamo inseriti, ovviamente composto anche di non fedeli, con i quali comunque collaboriamo per il bene comune. Non sbagliava la signora se, tacciandoci di apparenza, intendeva che la processione assume anche il significato di affermare una presenza e un’identità, perché ciò significa comunicare, oggi come in passato, anzi oggi di più: basti notare quanto il vedere conti rispetto all’udire nel farsi intendere. Ovvio che per il bene comune conta soprattutto aver chiaro ciò che vogliamo fare e far intendere, ma, come i primi cristiani usarono efficacemente tutti i mezzi di comunicazione a loro disposizione, tanto gli premeva l’annuncio, direi che anche noi usiamo i media di comunicazione efficaci (non a caso la Chiesa si avvale oggi anche di internet), senza falsa modestia, senza timore di profanarci con la pubblicità, perché non di rado questa è necessaria integrazione della comunicazione a tu.x.tu, delle omelie, delle riunioni parrocchiali.

Non credo che ciò implichi ripetere sempre identico tutto quello che ha tramandato il passato: se i gesti, i simboli, i segni della festa che connotano la processione non fossero più espressione della cultura della comunità che li aziona, decadrebbero nel ritualismo e nel folclore anziché esprimere valori risaltati dal carattere "corale" della pubblica manifestazione di fede, in clima di preghiera e di  ascolto della Parola di Dio, che invita tutti a vivere nel Suo Regno, con la massima libertà di provarlo, di starci o di andarsene, invito mai disgiunto dal segno della carità.

CzzC