modificato 23/11/2016

 

Il senso della caritativa: scopo, conseguenze, modalità

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

<itacalibri 1€>: A oltre mezzo secolo dalla prima edizione (Milano 1961 a cura di Gioventù Studentesca) questo breve scritto conserva intatto il suo valore di richiamo di contenuto e di metodo.

Traggo da <SandroDiremigio> che trae da "Realtà e giovinezza La sfida" SEI L.Giussani p192-196

 

IL SENSO DELLA CARITATIVA

SCOPO

1) Per aderire alla nostra natura che esprime esigenza di interessarci anche degli altri.
Quando c'è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro [CzzC: salvo quando prevalessero egoismo, indifferenza o meccanismi di difesa]. Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti e noi la chiamiamo giustamente legge dell'esistenza. [CzzC: qualcuno la chiama filantropia o compassione]. Noi andiamo in «caritativa» per soddisfare questa esigenza.

2) Per un compito: quanto più noi viviamo questa esigenza e questo dovere, tanto più realizziamo noi stessi: comunicare agli altri ci dà proprio l'esperienza di completare noi stessi. Tanto è vero che, se non riusciamo a dare, ci sentiamo diminuiti. Interessarci degli altri, comunicarci agli altri, ci fa compiere il supremo, anzi unico, dovere della vita, che è realizzare noi stessi, compiere noi stessi. Noi andiamo in «caritativa» per imparare a compiere questo dovere.

3) Per imparare. Cristo ci ha fatto capire il perché profondo di tutto ciò svelandoci la legge ultima dell'essere e della vita: la carità. La legge suprema, cioè, del nostro essere è condividere l'essere degli altri, è mettere in comune se stessi. Solo Gesù Cristo ci dice tutto questo, perché Egli sa cos'è ogni cosa, che cos'è Dio da cui nasciamo, che cos'è l'Essere. Tutta la parola «carità» riesco a spiegarmela quando penso che il Figlio di Dio, amandoci, non ci ha mandato le sue ricchezze come avrebbe potuto fare, rivoluzionando la nostra situazione, ma si è fatto misero come noi, ha «condiviso» la nostra nullità. Noi andiamo in «caritativa» per imparare a vivere come Cristo.

 

CONSEGUENZE

1) La carità viene prima di ogni simpatia e di ogni commozione, è legge dell'essere. Perciò il fare per gli altri è nudo e può essere privo di entusiasmo. Potrebbe benissimo non esserci nessun risultato cosiddetto «concreto» - per noi l'unico atteggiamento «concreto» è l'attenzione alla persona, la considerazione della persona, cioè l'amore. Tutto il resto può venire di conseguenza: come Gesù che dopo fece i miracoli e sfamò la gente.
Due punti di partenza non chiari per la nostra apertura agli altri noi dobbiamo notare:

a) Sovvenire ai bisogni altrui. È un punto di partenza ancora incompleto! Qual è il bisogno altrui? Questa impostazione è ambigua, dipende da cosa noi crediamo che sia il bisogno altrui: e se ciò che io porto non è veramente quello di cui essi hanno bisogno?  Ciò di cui hanno veramente bisogno non lo so io, non lo misuro io, non ce l'ho io. È una misura che non possiedo io: è una misura che sta in Dio. Perciò le «leggi» e le «giustizia» possono schiacciare, se dimenticassero o pretendessero sostituirlo, l'unico «concreto» che ci sia: la persona, e l'amore alla persona.

b) L'amicizia. Anche cominciare puntando sull'amicizia, con tutta l'ambiguità che ci può comportare, è incompleto. L'amicizia è una corrispondenza che si può trovare o no, un avvenimento non essenziale per la nostra azione di oggi, anche se essenziale per il nostro destino finale.

2) L'andare agli altri liberamente, il condividere un po' della loro vita e il mettere in comune un po' della nostra, ci fa scoprire una cosa sublime e misteriosa (sì capisce facendo!). È la scoperta del fatto che proprio perché li amiamo, non siamo noi a farli contenti; e che neppure la più perfetta società, l'organismo legalmente più saldo e avveduto, la ricchezza più ingente, la salute più di ferro, la bellezza più pura, la civiltà più educata li potrà mai fare contenti. È un Altro che li può fare contenti. - Chi è la ragione di tutto? Chi ha fatto tutto? Dio. Allora Gesù non rimane più soltanto colui che mi annuncia la parola più vera, che mi spiega la legge della mia realtà, non è più la luce della mia mente soltanto: io scopro che Cristo è il senso della mia vita. È bellissima la testimonianza di chi ha sperimentato questo valore: «Io continuo ad andare in caritativa perché tutta la mia e la loro sofferenza hanno un senso». Sperando in Cristo, tutto ha un senso, Cristo. Questo scopro, finalmente, nell'ambito dove vado in «caritativa», proprio attraverso l'impotenza finale del mio amore: ed è l'esperienza in cui l'intelligenza affonda nella saggezza, nella cultura vera.

3) Ma il Cristo è presente adesso: non «è stato», non «è nato», ma «c'è», «nasce» oggi: è la Chiesa. La Chiesa è il Cristo, presente adesso, come Lui ha voluto. E la Chiesa è la comunità di noi, proprio di noi, poveri e attaccati a Lui. Perciò la speranza ci sostiene; Dio stesso è tra noi, è presente tra noi. Uno di noi, in una discussione ha detto: «Continuo ad andare a .... perché ci siete voi». È verissimo: proprio il senso del nostro essere insieme, della comunità ecclesiale, ci fa tirare avanti oggi fra gli -handicappati, negli ospizi, con chiunque è bisognoso e, domani, nella fabbrica, nella città, in Europa, nel Mondo che è così grande e Lo aspetta.

 

DIRETTIVE

... estrapolo

1. Sapere perché ...

2. Fare per comprendere ...

3. È il tempo libero che dobbiamo impegnare senza ledere studio, lavoro, famiglia ...

 

Da "Realtà e giovinezza La sfida" SEI Luigi Giussani Pg.192-196