ultima modifica il 14/12/2018

 

Quelle esistenze «cambiate» dal mistero

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

Tratto da Avvenire 25/06/2011

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Quelle esistenze «cambiate» dal mistero

Quattro storie di persone che hanno visto mutare radicalmente la propria vita a Medjugorje

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Colleen Willard

Pellegrina dagli Usa al «Podbrdo» «Malata di tumore, assetata di cielo»

DI RICCARDO CANIATO

 

Quando da piccola cadde rovinosamente dalla bici, la nonna le raccomandò: «Colleen, offri la sofferenza a Gesù». E lei, di rimando: «Sei matta, mi fa male!». Molti anni dopo, però, allorché i medici decretarono che era prossima alla fine, la donna si fece portare al letto un crocifisso e, impugnandolo con fede, disse: «Signore, so che la malattia non è una punizione e che se tu mi dai una prova la potrò sopportare: sia fatta la tua volontà». Cercò poi conforto nella Bibbia e «l’occhio cadde dove san Paolo invita ad amare la Croce fino alla follia». Da quel momento trovò la pace interiore.

 

Colleen Willard è un’americana che racconta di essere guarita a Medjugorje il 3 settembre 2003, giorno del compleanno della presunta veggente Vicka, da 14 patologie diagnosticate dalla Mayo Clinic a Rochester, in Minnesota.

 

«Il cuore del problema era il tumore al cervello, non operabile, che già da tre anni mi aveva inchiodato fra il letto e la carrozzina». Uno dei tre figli lasciò gli studi per assisterla – «la famiglia esiste per questo», motivò – e lei comprese in quel gesto come la sofferenza può generare amore.

 

Colleen decise di recarsi a Medjugorje per prepararsi alla buona morte; e mentre il marito era preoccupato – «Non ce la puoi fare e non abbiamo di che pagare» – la guida spirituale, padre Agnello, dopo una notte di preghiera, la incoraggiò con parole rivelatesi profetiche: «Vai! Vedrai che a Medjugorje riposerai sul colle». La donna pensò che sarebbe spirata in Erzegovina, ma si sbagliava. Ecco che cosa accadde: «Sui gradini della sua casa, a Medjugorje, Vicka ci raccontò del suo 'viaggio in Paradiso'. Il cuore mi si riempì di gioia e trovai il coraggio di domandare alla Madonna: 'Se solo potessi mettere per un istante la mia mano nella sua, che Tu, Madre, hai tenuto per portarla in Cielo...'; non potei finire, poiché vidi Vicka, che aveva interrotto la testimonianza, farsi largo fra la folla per venire verso di me. Mi abbracciò e si mise a pregare. Sentii allora un intenso calore, che dalla testa si propagava a tutte le membra ormai avvizzite e mi lasciai cullare dalla Presenza trinitaria di Dio, mai percepita prima. Desiderai poi partecipare alla Messa e, proprio nel momento della Consacrazione, quella medesima Presenza mi avvolse ancor più sensibilmente, mentre una voce dolcissima mi invitava a donarmi totalmente alla Santissima Trinità».

 

Quando Colleen riaprì gli occhi le stavano dando l’Eucaristia: «Nel preciso istante in cui l’Ostia toccò la mia lingua un calore avvampò nel corpo, annientando all’istante i dolori lancinanti che mi affliggevano». La guarigione, in seguito certificata dagli specialisti, fu totale e sorprendente: «Mi alzai dalla carrozzina e passai la sera in ginocchio, davanti al Santissimo; mentre, il giorno dopo, salii sul Podbrdo, a 'riposare in Dio sulla collina'». Oggi Colleen gira l’America, dando testimonianza: dei dieci lebbrosi guariti del Vangelo, si ispira all’unico che è tornato a ringraziare il Signore.

 

C’è chi vi è giunto per «smontare» il fenomeno Medjugorje. Chi ha scelto di vivere nel segno dell’accoglienza abbandonando una vita agiata e dissoluta. Ma anche chi in questo piccolo villaggio bosniaco ha cercato uno spazio di pace e di accettazione della propria malattia e in forma inspiegabile per la scienza è tornato a casa senza problemi. Sono quattro delle molte storie e dei tanti racconti di chi ha avvicinato il fenomeno Medjugorje, recandovisi e tornando a casa con la vita cambiata. Storie umane, eventi spesso inspiegabili per la scienza. Sono i frutti di quel mistero che da trent’anni esatti ha trasformato il piccolo paesino bosniaco in un luogo di preghiera, di fede e di conversione. Non esiste un pronunciamento ufficiale della Chiesa, che anzi ha affidato a una Commissione internazionale di indagare e studiare quanto sta avvenendo. Nelle parole dei testimoni il racconto delle loro storie.

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Padre Eugenio La Barbera

 

«Io, scettico, dall’Italia a Krizevac» Ora in Brasile per la «Regina pacis»

«La Regina della Pace insiste sulla necessità di pregare. Così, dopo averla osteggiata, per non aver creduto a queste sue apparizioni, ho provato a rimediare, dando vita a San Paolo a una realtà di consacrati nella preghiera». Padre Eugenio La Barbera, milanese, trapiantato in Brasile, ha qui fondato una comunità religiosa, che, già nel nome, Regina Pacis , si ispira a Medjugorje e che è stata approvata dal vescovo nel 1995 ed eretta a priorato sui juris nel 2005. E dire che lui, eccellente in Teologia, si recò in Erzegovina nel 1987 «per smontare l’imbroglio erzegovinese », di cui aveva proibito di parlare ai parrocchiani. La sera dell’arrivo, due pellegrini «fra i più devoti », gli chiesero di accompagnarli per una Via Crucis sul Krizevac. Padre Eugenio non ne fu entusiasta, perché era mezzanotte e pioveva! «Accettai, ma mi proposi di sfiancarli a colpi di meditazioni in ginocchio ». Durante la salita, però, dovette rivedere il piano, perché qualcosa d’inspiegabile lo spaventò moltissimo: «Diluviava; i miei compagni erano fradici, il terreno grondava fango e io ero totalmente asciutto». Decise di proseguire, ma con passo deciso, di stazione in stazione verso la cima, dove il fenomeno assunse contorni più evidenti: «Ora non pioveva solo nello spazio occupato da noi tre e sopra le nostre teste si vedeva il cielo stellato». Il prete cercò di contenersi, ma era scombussolato e risolse di lanciare una sfida: «'Gospa', le dissi nel segreto del cuore, 'io non credo che tu appaia, ma se sei qui, sappi che sono un ottimo sacerdote!' Ed elencando i miei meriti, le feci alcune richieste particolari».

 

Quando, il giorno dopo, salì di nuovo sul Krizevac fu avvicinato da un signore di mezza età, mai visto prima… «Mi disse: 'La Madonna conferma che sei un ottimo prete, ma che non puoi contrastare la fede del popolo di Dio verso di Lei, come hai fatto nella tua parrocchia'; e continuò, rispondendo alle mie riflessioni notturne. Prima di congedarsi aggiunse: 'La Gospa ti darà un segno della sua presenza'». Il padre rimase senza parole, scartando l’ipotesi di esser incappato in un agente comunista.

 

Prima di partire salì una terza volta sul Krizevac, in testa a un gruppo di pellegrini, che si erano rivolti a lui trovandosi senza sacerdote. Il pianto fragoroso di un ragazzo disturbò la Via Crucis; e La Barbera si indispettì non poco, finché, al termine, quel giovane non gli si fece incontro. «Padre, scusi il mio comportamento di prima; ed ora avrei bisogno di lei»; al che, vedendo lo sguardo interrogativo del religioso, aggiunse: «La Madonna mi ha mostrato il film della mia vita e alla fine ha detto: 'I tuoi peccati ti sono lavati per il tuo pentimento; ma hai bisogno del perdono sacramentale della Chiesa: vai e confessati da padre Eugenio'». Il religioso evidentemente non riuscì a dissimulare la sorpresa, poiché il giovane si sentì in dovere di precisare: «Ho proprio sentito una voce chiara e distinta». Dopo l’assoluzione il confessore si accorse che il ragazzo si drogava – «le sue braccia erano piene di buchi » – e, preoccupato, gli raccomandò di farsi visitare subito da un medico. Ma il giovane lo interruppe e il suo volto ora era radioso: «Padre, non ha capito? Lei mi ha confessato e mi ha guarito. Sono io il segno che la Gospa le ha promesso!».

 

Riccardo Caniato

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Diana Basile «Il mio grazie a piedi nudi»

Diana Basile è la prima italiana la cui prodigiosa guarigione – avvenuta, testimonia la donna, a Medjugorje – abbia avuto il riconoscimento della comunità scientifica. Una guarigione inspiegabile che ha trovato conferma anche di recente nelle dichiarazioni del dottor Mario Botta, membro permanente del Bureau Medical di Lourdes, che ha studiato il caso. Nata a Plastici (Cosenza), il 25 ottobre 1940, colpita nel 1972 da disgrafia alla mano (tremori e impossibilità di scrivere e mangiare) e da completa cecità all’occhio destro, Diana, moglie di un barbiere e madre di tre figli, era stata costretta a lasciare l’impiego presso gli Istituti clinici di perfezionamento di Milano. Presto le fu diagnosticata la sclerosi a placche: da qui, l’inutilizzo del braccio destro e una totale incontinenza urinaria e fecale, con dermatosi perineale, a cui seguirono la perdita dell’equilibrio e del controllo motorio.

 

Recatasi a San Giacomo nella primavera del 1984, dice di essere guarita istantaneamente. Questo il suo racconto: «È il 23 maggio. Mi trovo nella chiesa di Medjugorje, ai piedi dell’altare. Poiché quasi non camminavo e non vedevo bene, la signora Novella mi aiuta a salire i gradini, sostenendomi a fatica fino alla stanzetta delle apparizioni». A distanza di anni il ricordo resta vivido: «La porta è chiusa, ma si apre all’improvviso e mi ritrovo dentro, quasi fossi aspettata. Mi lascio cadere in ginocchio ». Arrivano i presunti veggenti. «E quando a loro volta si inginocchiano, mi sento come folgorare... Mi prende una gioia indescrivibile e rivivo alcuni episodi della vita che avevo completamente dimenticati». Si commuove. «Dopo l’apparizione mi metto a camminare da sola, prima adagio e poi sempre più sicura; e riesco a inginocchiarmi normalmente, senza accorgermene... Ma se ne accorgono gli altri, quelli che mi conoscevano; e mi abbracciano piangendo. Più tardi, in albergo, constato di esser tornata continente, che la dermatosi è sparita e che dopo dieci anni ho riottenuto la vista dell’occhio malato! Non potevo fare altro che ringraziare la Madonna, anche se non me la sentivo di parlare di miracolo». Ci penseranno i medici, che nel giro di pochi anni rilasceranno 150 certificazioni in merito. Come gesto di riconoscenza, il giorno dopo, malgrado la muscolatura atrofizzata, Diana percorse a piedi nudi i dieci chilometri che separavano il suo alloggio da Medjugorje. Per niente stanca o appagata, dopo pranzo salì da sola sul Podbrdo e, tornata a Milano, riprese a lavorare.

 

(R. Can.)

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i coniugi Latta Castellani dell’ospitalità

 

Se ogni borgo che si rispetti deve avere un castello, anche Medjugorje ha il suo. Alle pendici del monte Krizevac, in posizione altolocata, sopra Bijakovici, c’è una costruzione dalle fattezze antiche, le mura in pietra e le sommità merlate, dove il pellegrino trova ospitalità gratuita. La storia di questo luogo è figlia della conversione a U di chi lo ha costruito: Nancy e Patrick Latta, i castellani.

 

«Una volta mio figlio mi ha chiesto: 'Chi è Dio?' e io gli ho messo in mano una banconota da venti», racconta Patrick, che all’epoca viveva in Canada ed era imprenditore nel ramo automobilistico, facendo soldi a palate. Ma era infelice: «Nel privato avevo sfasciato già due matrimoni, per via dei miei adulteri. E, dei quattro figli, tre maschi e una femmina, il più giovane era spacciatore e si drogava, un altro era alcolizzato, mentre la figlia, a 24 anni, aveva già divorziato due volte». Quando mi misi con Nancy, mi chiese di sposarci in chiesa: e la cosa fu possibile, perché, nel frattempo, la mia prima moglie aveva ottenuto l’annullamento dalla Sacra Rota e con la seconda mi ero sposato civilmente». L’uomo accettò senza convinzione; ma un giorno, durante il trasloco nella nuova casa, la moglie gli mise in mano, per scherzo, un messaggio di Medjugorje. «Leggi, pagano!», gli disse. C’era scritto: «Sono venuta a chiamarvi alla conversione per l’ultima volta! E a dirvi di nuovo che Dio esiste». Patrick rimase sconvolto: quelle parole erano per lui! Dopo trent’anni entrò in un confessionale e, all’assoluzione, si scoprì a piangere come un bimbo – «mi sentii perdonato» –, anche perché, miracolo nel miracolo, incontrò un prete devoto della Madonna d’Erzegovina. «La mia gioia ha conquistato Nancy e la mia famiglia: il figlio che spacciava è preside dai Salesiani e aiuta i ragazzi in difficoltà, l’alcolista è vigile del fuoco; presto, spero, si converta anche mia figlia».

 

A tutti loro Patrick ha chiesto perdono; poi ha venduto ciò che aveva e si è trasferito con la moglie a Medjugorje. Era il 1993: nei Balcani c’era la guerra, ma nel Castello dei Latta è sempre regnata la pace.

 

(R. Can.)

 

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Migliaia in pellegrinaggio per il 30° anniversario

 

DAL NOSTRO INVIATO A MEDJUGORJE

 

LUIGI GENINAZZI

 

come se qualcuno, già tanto tempo fa, avesse previsto che in questo sperduto villaggio tra le montagne della Bosnia sarebbero arrivati milioni di visitatori. Non si spiega altrimenti l’enorme chiesa con due alti campanili sulla facciata che i francescani vollero dedicare a san Giacomo, un edificio imponente per una parrocchia di poche centinaia di persone, quale era appunto Medjugorje nel secolo scorso. Ma ieri, a trent’anni esatti dal 24 giugno 1981, quando sei ragazzi affermarono d’aver visto la Madonna, l’ampia navata non poteva contenere tutti i pellegrini giunti qui per un evento di fede ed al tempo stesso per un gesto di gratitudine verso la «Gospa», la Signora, come viene chiamata in terra croata la Vergine Maria. È un flusso continuo di migliaia di persone, un miscuglio di lingue che risuonano durante le Messe celebrate per tutto il giorno sul vasto spiazzo erboso dietro la chiesa dove è stato collocato un grande altare circondato a raggiera da lunghe file di panche. Solo i più fortunati, o per meglio dire i più mattinieri, riescono ad avviciÈ narsi alla statua della Madonna all’interno della chiesa. Sopra le teste ondeggianti della folla si può intravedere la scritta a caratteri cubitali «Totus tuus». Ai suoi piedi, in mezzo a tantissimi fiori, una distesa di biglietti e di foto con suppliche e ringraziamenti.

 

C’è una sorta di percorso obbligato a Medjugorje. Il primo appuntamento è alla chiesa di San Giacomo che ormai porta il nome di «Regina della pace». Quindi nel pomeriggio si sale al Prodbrdo, che chiamano «la collina delle apparizioni», un cammino ripido e impervio tra rocce rossastre infuocate dal sole ed arbusti rinsecchiti. Genitori coi bambini sulle spalle, anziani che si trascinano faticosamente col bastone, giovani nerboruti che portano i malati sulla loro carrozzella, fedeli a piedi scalzi, e quelli ancor più eroici che in segno d’espiazione procedono in ginocchio. Si sosta in preghiera davanti ai rilievi in bronzo raffiguranti i misteri gioiosi e dolorosi del Rosario, quindi si arriva in cima alla collina, di fronte alla statua della Madonna donata da una delegazione coreana. C’è appena il tempo di scendere per la recita del Rosario alle sei del pomeriggio, seguita dalla Messa solenne. La giornata si chiude con l’adorazione eucaristica che ieri, in occasione dell’anniversario, è proseguita tutta la notte.

 

A Medjugorje pulsa il cuore del mondo e, se mai ce ne fosse bisogno, lo conferma in questi giorni l’arrivo di pellegrini di ogni nazionalità. Croati e sloveni ovviamente e poi tantissimi italiani, polacchi, tedeschi, francesi, latino-americani. Senza dimenticare i gruppi che arrivano dalla Russia e dall’Estremo Oriente. È la graduatoria approssimativa che si può fare guardando le bandiere e ascoltando le voci di una folla variopinta che, sfidando il caldo torrido, assiste devota e compunta alla liturgia, introdotta da un momento di catechesi. La tiene Marija Pavlovic, una delle tre presunte «veggenti» che sostengono di avere apparizioni quotidiane della Madonna. Rievoca l’inizio di quella che i giornali jugoslavi di allora, definirono «una strana rivoluzione da soffocare». Ricorda le minacce e le persecuzioni del regime comunista, l’incarcerazione del parroco, don Jozo, il divieto d’accesso al Podbrdo e la chiusura della chiesa di San Giacomo. Ma la gente si riuniva a pregare all’aria aperta e così le autorità ritirarono il decreto per evitare lo scandalo. «Oggi siamo qui, dentro e fuori la chiesa – dice Marija –. Quella rivoluzione ha vinto perché non aveva nessun altro scopo se non l’annuncio della misericordia di Dio ripetuto ancora una volta da sua Madre». Ecco cos’è Medjugorje, spiega il padre francescano Danko: «un luogo di conversione del cuore», un miracolo che cambia la vita.

 

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Era il 24 giugno del 1981 quando sei ragazzi, in un paesino della Bosnia, affermarono di aver visto la Vergine. Da allora, una folla arriva qui ogni giorno per pregare e chiedere grazie

la storia Hubert, l’imprenditore, che si è messo al servizio della pace

 

DAL NOSTRO INVIATO A MEDJUGORJE

 

Hanno camminato quattro ore dietro la croce, recitando il Rosario sotto il sole cocente. Diecimila persone, provenienti da ogni parte d’Europa, hanno partecipato ieri mattina alla «Marcia della pace» dal monastero francescano di Hum alla chiesa parrocchiale di Medjugorje. È un evento che si tiene ogni 24 giugno, a partire dal 1992, ma quest’anno ha visto una grande partecipazione di gente in festa per il trentesimo anniversario di quella che è ritenuta la prima apparizione della Madonna ai sei presunti veggenti. «Hodnja mira», Cammino di pace, è l’invenzione di un tedesco, Hubert Liebherr, che all’inizio degli Anni Novanta volle fare qualcosa per fermare la guerra nei Balcani e non s’accontentò d’inviare aiuti umanitari. «Di fronte a quella tragedia – ricorda oggi – mi resi conto che l’unica salvezza poteva venire dalla Regina della pace», il titolo con cui la Madonna si sarebbe presentata in questo luogo.

 

Sessantuno anni, corporatura massiccia ed energia che sprizza da tutti i pori, Hubert si definisce «una prova vivente del miracolo di Medjugorje». Arrivò qui nel lontano 1987 quasi per gioco. All’epoca era un giovane e ricco imprenditore che pensava soltanto a fare soldi e a divertirsi (l’azienda di famiglia, la Liebherr-Werke, 30mila dipendenti, è leader a livello mondiale nel settore delle macchine industriali). Un amico, cattolico fervente, lo invita dapprima a Fatima, per il 70° anniversario delle apparizioni, e poi a Medjugorje. Lui accetta, ha il brevetto di pilota ed atterra a Mostar con il suo aereo personale, miliardario stravagante col brivido dell’avventura.

 

Ma quella che gli stava per capitare non poteva immaginarla. Sulla collina del Podbrdo inizia ad avere capogiri e nausea. Sta male, un impulso irresistibile lo spinge a confessarsi, cosa che non faceva da quando era bambino. «Ed improvvisamente mi sono sentito in pace con me stesso, una serenità che non avevo mai provato in vita mia – racconta – Decisi che, in cambio del grande dono che m’aveva fatto la Madonna, avrei messo a disposizione il 10 % del mio tempo e dei miei soldi al suo servizio». Tornato in Germania organizza incontri di preghiera e tiene conferenze sulle presunte apparizioni di Medjugorje. Una anche in fabbrica, affollatissima, con gli operai attoniti che ascoltano dalla voce del padrone una testimonianza di fede cristiana. Il padre lo rimprovera. «Ti stai rendendo ridicolo. In privato puoi fare quel che vuoi, non in pubblico. Mi rovini l’immagine dell’azienda». E così il buon rampollo della dinastia Liebherr è costretto a fare una scelta radicale, quella già contenuta nel Vangelo: «Lascia tutto e seguimi ». Da quel giorno la sua vita è cambiata «non al 10% ma al 100 %», dice scoppiando in una grassa risata. L’idea della «Marcia della pace» gli è venuta nell’aprile del 1992, giungendo a Medjugorje in piena guerra. «Erano rimasti solo i maschi, tutto era chiuso e barricato, anche la chiesa, si celebrava messa nel seminterrato della parrocchia – ricorda – . Un giorno mi recai al fronte insieme con gli uomini che proteggevano il villaggio. Erano male equipaggiati, mentre dall’altra parte l’esercito federale jugoslavo si presentava come una potenza militare. Davide contro Golia. Ma noi abbiamo l’arma più potente, pensai: il Rosario. E così lanciai l’iniziativa di una preghiera penitenziale itinerante». Sfidando le bombe duecentocinquanta giovani, croati e tedeschi, percorsero i 15 chilometri che separano il monastero di Sant’Antonio di Hum dalla chiesa di San Giacomo a Medjugorje. Da allora la «Marcia della pace» è diventata un appuntamento tradizionale. Per Hubert e per tanti fedeli sempre più numerosi.

 

Luigi Geninazzi

 

Figlio di un grande industriale arrivò nel paesino bosniaco nel 1987 e cambiò subito vita Nel 1992 in piena guerra dei Balcani promosse una marcia per contrastare il conflitto

 

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LA BIBLIOGRAFIA

Foto, racconti e analisi: in libreria la storia di un mistero

Le storie dei visitatori, l’analisi dei messaggi diffusi, la ricostruzione dell’intera vicenda: in occasione trentennale, la bibliografia su Medjugorje si è arricchita di numerosi titoli che scandagliano le diverse sfaccettature della vicenda. Due sono firmati da padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, che ne «Il Paradiso» (Edizioni Ares) ha raccolto i contenuti di un ciclo di trasmissioni radiofoniche dedicati a quanto avvenuto nella piccola località balcanica e ne «L’Aldilà nei messaggi di Medjugorje» (Piemme) si è soffermato sui richiami alla salvezza dell’umanità contenuti nelle frasi diffuse dai sei presunti veggenti. I brevi testi che circolano con ricorrenza periodica sono stati rivisitati pure da Diego Manetti, nel volume «Tutti i messaggi di Medjugorje», edito anch’esso da Piemme. Annalisa Lorenzi ha firmato invece per Mondolibri un’antologia dal titolo «La vera storia di Medjugorje», nella quale ha raccolto pure alcune preghiere mariane. Più giornalistico il lavoro del vaticanista Saverio Gaeta, che già su Medjugorje ha firmato diversi titoli in passato: ne «L’ultima profezia» (Rizzoli) ha recuperato i testi dei primi interrogatori dei sei presunti veggenti per ricostruire quanto accadde nelle fasi iniziali degli eventi di trent’anni fa. Alfonso Rivaroli ha invece rivisitato in «Grazie Papà» (Edizioni Segno) il cammino successivo, quello, cioè, percorso da centinaia di migliaia di pellegrini. Il fotografo Daniele Casilesi ha documentato con il suo obiettivo questi flussi e li ha raccolti nel volume «Medjugorje. Le immagini più belle, le emozioni più forti» (Rizzoli), nel quale gli scatti sono arricchiti dai testi di Riccardo Caniato e Vincenzo Sansonetti, autori a loro volta di numerose pubblicazioni apparse in passato sulle presunte apparizioni.

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Da “Libero”, 25 giugno 2011 - Antonio Socci

30 ANNI DI MEDJUGORIJE INSEGNANO: IL CRISTIANESIMO E’ UN MIRACOLO CHE STA ACCADENDO ORA (se non si capisce questo si finisce nel pelagianesimo: ridurre la fede a un proprio sforzo, a una propria introspezione o iniziativa, a un proprio percorso)

La scuola era appena finita e due adolescenti, Miriana e Ivanka, quel caldo pomeriggio del 24 giugno 1981, alle ore 17.45, stavano facendo una passeggiata fuori del paese di Bijakovici, frazione di Medjugorje, comune di Citluk, provincia di Mostar: il posto più sperduto del mondo.

Come cominciò

Dimenticato dagli uomini certamente. Ma non da Dio che ama ciò che è piccolo e insignificante.

A un certo punto Ivanka si volta verso la collina sassosa del Podbrdo: vede qualcuno lassù, a duecento metri di distanza, è una giovane ragazza, ha un bimbo piccolo in braccio.

Cosa ci fa in quel luogo desolato, pieno di vipere? Lassù non va mai nessuno. Ivanka si sofferma un attimo, vede che ha una veste lunga e un velo: “Ma quella è la Madonna!”.

Mirjana neanche si gira: “eh sì, figurati se la Madonna non ha altro da fare che venire a vedere cosa facciamo noi”. Cresciute sotto un regime comunista non avevano neanche mai sentito parlare di apparizioni come Lourdes o Fatima. 

Arrivati in paese incontrano altri amici, Ivanka dice di aver visto una ragazza sulla collina sassosa, tornano su: è ancora lì. Fa cenno con la mano di avvicinarsi. Sono incantati, ma c’è anche timore.

Quel giorno non le si avvicineranno. Lo faranno il giorno successivo alla stessa ora: è una ragazza di una bellezza senza eguali. E dolcissima.

I sei ragazzi sono felici. E raccontano a tutti quello che è accaduto, ciò che hanno visto e che lei ha detto loro. Nel villaggio non si parla d’altro.

La voce corre, raggiunge i paesi vicini e pure la polizia. Il regime comunista è durissimo con i ragazzi: li arresta, li minaccia, minaccia le loro povere famiglie, ma loro non rinnegheranno mai quello che hanno visto.

Cominciano ad accadere subito segni e prodigi. Le stesse commissioni mediche e scientifiche che studiano, anche con delle macchine, ciò che si verifica durante le apparizioni riconoscono che lì c’è un mistero inspiegabile.

Un piccolo borgo nel mondo

Perché accade lì? I posti così sono prediletti dalla “bellissima ragazza” che proprio in un borgo sperduto – Nazaret – aveva vissuto. E sono dei ragazzi semplici e normali che lei sceglie per le sue missioni (apparentemente) impossibili: salvare il mondo.

Perché da quel momento iniziò una vicenda che, trent’anni dopo, possiamo definire uno dei più grandi eventi della storia della Chiesa e dell’umanità.

Ma all’inizio il mondo non se ne accorse. Come duemila anni prima. In quei giorni di giugno del 1981 di cosa parlavano i giornali?

In Italia c’era appena stato l’attentato al Papa, il referendum sull’aborto ed era scoppiato lo scandalo della P2. Dalla crisi di governo uscì il primo esecutivo laico della storia repubblicana guidato da Spadolini.

In Francia il socialista Mitterrand vinse le presidenziali e formò un governo con quattro ministri comunisti. Era una novità storica.

Intanto – mentre il Papa era ancora in ospedale – all’Est le pressioni di Mosca sulla Polonia, per cancellare Solidarnosc, si facevano ogni giorno più forti. Breznev arrivò a paventare il rischio di uno scontro nucleare.

Infatti a dicembre 1981 Solidarnosc fu schiacciata. Nessuno poteva immaginare che solo otto anni dopo l’impero comunista sarebbe crollato.

Nel frattempo in Iran – fatto fuori Bani Sadr – presero definitivamente il potere gli ayatollah che dettero fuoco alla polveriera islamica in tutto il mondo.

Come si vede dunque erano settimane di durissimo scontro fra i blocchi, fra vecchi e nuovi poteri, nazionali e planetari.

Tutti pensano che a fare la storia siano gli stati, gli eserciti, il petrolio, i cannoni, i poteri finanziari ed economici.

Perciò quel 24 e 25 giugno nessun giornale o tv del mondo poteva immaginare che nel più oscuro villaggio della Bosnia stesse accadendo un avvenimento di enorme importanza. Eppure è così.

Da trent’anni là accadono cose stupende e a milioni accorrono alla ricerca di lei, la bellissima, la dolcissima, la meraviglia dell’universo. Cosa cercano? E cosa trovano?

La storia di Silvia

Lo fa capire bene, per esempio, la storia di Silvia Buso, una giovane padovana.

L’ho incontrata il mese scorso al Palasport di Firenze: c’era una giornata di preghiera dei gruppi di Medjugorije, circa 4 mila persone.

Io feci una testimonianza su quello che era accaduto alla mia Caterina e la visita di una delle veggenti di Medjugorie.

Alla fine mi si avvicinò questa ragazza bionda, alta, atletica: “anche io” mi disse “ho avuto una grande grazia a Medjugorije”.

Di lì a poco fece lei stessa una testimonianza. Come già aveva fatto a Medjugorije nel 2010, al festival della gioventù (c’è il video anche su internet, nel sito di Radio Maria).

Silvia ha 22 anni.  Nell’autunno del 2006, a 16 anni, d’improvviso si ritrova paraplegica, inchiodata a una carrozzella: fino ad allora aveva fatto sport, nuoto, danza, aveva amici. Frequentava la terza liceo. Una vita normale.

Di colpo il buio. Le gambe non si muovevano più. E poi attacchi simil-epilettici. Una tragedia.

La sua era una famiglia cattolica, ma “la messa domenicale” racconta la ragazza “per me era perlopiù un’abitudine, non un atto d’amore”.

Anche con la malattia, partecipando il venerdì a un gruppo di preghiera, era così. Un giorno una signora del gruppo le dette una medaglietta della Madonna che la Vergine stessa aveva benedetto a Medjugorije.

Silvia la mise al collo. In aprile e maggio del 2007 si immerse nello studio per sostenere gli esami, ma si faceva portare ogni giorno al gruppo di preghiera perché solo lì trovava pace.

Il 20 giugno la sua dottoressa le dice che la settimana successiva non ci sarà perché deve accompagnare sua mamma a Medjugorije.

Silvia d’istinto le chiede di andare con lei. Arrivati, dopo la messa vengono a sapere che la sera Ivan avrebbe avuto un’apparizione straordinaria sul monte Podbrdo.

Silvia, sia pure con imbarazzo, accetta si farsi portare in braccio fin lassù: “Alle 20 arrivammo. Ho iniziato a pregare e quello per me è il primo ricordo di una preghiera fatta veramente con il cuore”.

Racconta: “Io non ho mai chiesto la mia guarigione perché mi sembrava una cosa troppo impossibile. Poco prima dell’apparizione il mio capogruppo mi disse di chiedere tutto quello che volevo alla Madonna perché lei avrebbe ascoltato tutti, sarebbe scesa dal cielo sulla terra. Allora le ho chiesto che mi desse la forza per poter accettare a 17 anni una vita in carozzina”.

Alle 22 è iniziata l’apparizione a Ivan: “io sulla mia sinistra ho visto una luce, era una luce bianca bellissima” dice Silvia.

“Finita l’apparizione non l’ho più vista, però mi sentivo chiamare da tutte le parti. Ma non ho detto niente a nessuno di ciò che mi stava accadendo. Loro mi hanno ripeso in braccio e dopo sono scivolata all’indietro per terra come svenuta.

Però non mi sono fatta niente. Io ricordo solo che mi sentivo come su un materasso morbidissimo e che c’era una voce dolcissima che mi parlava e mi calmava coccolandomi.

Dopo qualche minuto, non so quanti, ho aperto i miei occhi e a mio padre che piangeva ho detto che sentivo finalmente le gambe: papà sono guarita! Cammino!”.

Ed è stato così. “Io ricordo che c’era una mano tesa davanti a me e io nel volergliela afferrare mi sono ritrovata in piedi come se fosse la cosa più naturale. Il mattino dopo alle 4,30 sono salita sulla montagna della croce, il Kriscevaz, con le mie gambe!”.

E’ guarita così. Ma oggi Silvia dice: “La grazia più grande che Dio mi ha fatto è stata la mia conversione e quella della mia famiglia. Il sentire l’amore di Dio e della Madonna: questa è per me è la cosa più bella e importante della mia vita”.

Silvia è timida, ma molto netta: “Con la conversione è come se Dio mi avesse acceso un fuoco dentro. Certo, il fuoco va sempre alimentato con la preghiera, il rosario, con l’eucaristia, la Santa messa e l’adorazione. E tutto ciò che chiede la Madonna a Medjugorije. E questo fuoco non si spegne. Questa per me è la cosa più bella”.

Bisogna chiedersi: cosa è mai questo “sentirsi teneramente amati” per attrarre milioni e milioni di persone e cambiare radicalmente le loro vite? Solo così si può cominciare a capire cosa sta accadendo a Medjugorije.

Antonio Socci

Da “Libero”, 25 giugno 2011