modificato 04/02/2017

 

Asghar Ali Engineer: «nessuna persona che sia davvero religiosa o spirituale può approvare la violenza»

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Traggo da Avvenire 25/08/2011  pag27

 

«Islam, per crescere punta sulla pace»

Intervista

Per l’intellettuale indiano musulmano Asghar Ali Engineer «nessuna persona che sia davvero religiosa o spirituale può approvare la violenza, come mostrano sia Gandhi sia il Corano

 

DI STEFANO VECCHIA

 

« Uno studio sincero dell’islam mi ha convinto ben presto che l’islam, come ogni altra religione, abbia al centro valori positivi e che, davanti alla violenza, sia mio dovere di musulmano promuovere pace e armonia in ogni circostanza. Oggi riscontriamo la violenza nella vita quotidiana perché la gente non pratica ciò in cui proclama di credere e, inoltre, ci sono molti interessi che utilizzano e promuovono la violenza per scopi politici o di altro genere. Noi dobbiamo contrastare questi interessi, senza stancarci di sottolineare la pace come valore fondamentale della religione». Così risponde Asghar Ali Engineer alla domanda se gli ideali in cui crede e che da un quarantennio promuove come esponente tra i più qualificati dell’islam globale, siano promossi nella teoria dell’islam e se siano compresi oppure negati nella pratica quotidiana. Engineer, di cui il mese scorso è uscita in India – suo Paese d’origine – l’autobiografia A Living Faith: My Quest for Peace, Harmony and Social Change (“Una fede vissuta: la mia ricerca per la pace, l’armonia e l’impegno sociale”), è non solo riconosciuto come tra le maggiori figure del modernismo musulmano del nostro tempo, ma anche come uomo del dialogo con una fitta rete di rapporti con esponenti della società civile e delle altre fedi. Lo abbiamo intervistato nella sua sede di Mumbai al rientro dall’Afghanistan.

 

Dottor Engineer, dove è nata l’idea dell’autobiografia e qual è l’ideale di “fede vissuta” che lei stesso indica di volere condividere con il lettore?

«Da tempo, diversi amici mi chiedevano di condividere le mie esperienze di impegno per la pace e per l’armonia interreligiosa, come pure il mio impegno per le riforme sociali all’interno della comunità musulmana. Alcuni ritenevano, conoscendomi, che le mie esperienze potesse essere utili ad altri. L’espressione “fede vissuta” sta a sottolineare il tentativo di vivere la mia vita secondo questi valori».

 

Perché ha deciso di dedicarsi alla “ricerca di pace, armonia e giustizia sociale”?

«In gioventù rimasi fortemente colpito da terribili episodi di violenza tra indù e musulmani nel mio paese. Per questo decisi di dedicarmi alla pace interreligiosa e all’armonia nell’umile modo che mi era possibile e ho cercato successivamente di mantenere questa decisione nonostante le grandi difficoltà e i molti ostacoli».

 

Nonostante la costante negazione dei principi alla base di molte religioni, possiamo dire che la ricerca di un’umanità migliore passa anche dalla fede?

«Nessuna persona che sia davvero religiosa o spirituale può approvare l’uso della violenza. Un violento può essere tutto fuorché religioso. Posso dire che la mia ricerca della pace è basata sulla mia fede d’appartenenza, ma anche un ateo come Bertrand Russell ha saputo essere un sincero promotore di pace».

 

Come ritrova nella città dove ha scelto di vivere, Mumbai, vitale e sovrappopolata, potenzialità e limiti della sua esperienza di armonia di multi-culturalità?

«Mumbai è una città dalle immense potenzialità ma anche dalle enormi differenze. A volte scoppiano conflitti etnici, linguistici e anche interreligiosi. Contrasti e anche scontri che hanno ragioni in interessi di potere o economici, raramente spontanei, ma per questo occorre impegnarsi ancora di più per tenere la situazione sotto controllo, per rendere la popolazione ancora più convinta della necessità della convivenza pacifica».

 

In quanto musulmano dell’India, ritiene il suo Paese affetto dagli stessi problemi che altrove non solo le religioni non riescono a risolvere, ma di sui sono – ad esempio con un fondamentalismo aggressivo – anche responsabili?

«Come musulmano indiano sono anzitutto orgoglioso di essere indiano. I musulmani, che qui sono circa centocinquanta milioni, non sono e non vogliono essere un “corpo estraneo” e per questo ci impegniamo, ma occorre anche impegnarsi per un rinnovamento interno alla comunità che permetta di accompagnare il progresso del Paese. Oggi l’India resta un Paese pluri-religioso e uno Stato laico.

 

Certamente, ampi interessi, come ho già sottolineato, cercano di danneggiare la convivenza religiosa e occorre perciò attivamente contrastare questi interessi che sfruttano pesantemente la religione per fini non religiosi».

 

Lei è personalità famosa per l’impegno a favore del dialogo e della pace.

Qual è o quale potrebbe essere un comune terreno di dialogo per l’umanità al fine di vivere in un ordine differente, in un mondo guidato d amore e giustizia?

«Vero, le religioni ci propongono valori come pace e giustizia, ma quotidianamente molti le sfruttano a scopi di potere e di arricchimento, come pure le classi sacerdotali ritualizzano la religione e la privano di valori essenziali. Soltanto persone di forte fede e spiritualità riescono a vivere secondo valori positivi e universali, ma occorre mantenere accesa la certezza che se questi valori dovessero essere praticati da tutti, pace e armonia prevarrebbero».

 

Quali individui, testi o istituzioni hanno avuto una qualche influenza sul suo pensiero e sulla sua esperienza?

«Le mie principali fonti d’ispirazione sono sempre stati il Corano e la vita del Profeta, ma nello sviluppo del mio pensiero un ruolo di rilievo ha avuto la filosofia della nonviolenza del Mahatma Gandhi. Anche ai nostri tempi, Gandhi resta una grande fonte d’ispirazione, dentro e fuori dall’India».