modificato 15/12/2016

 

Pasqua: una festa-calendario o una “festa-incontro “ che riscalda la vita“?

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

[CzzC: appunti per la meditazione 17/03/2015 in con i dipendenti di una APSP. In realtà poi ho parlato a braccio dicendo meno di 1/10 di quanto qui appuntato, ma con efficacia maggiore di quella che avrei ottenuto dicendo tutto questo, anche perché in soli 45’ ...]

 

 

Buon giorno a tutti

Chi sono. Perché sono qui

- come voi per aver accettato l’invito di suor ...

- ma a questa domanda i miei ragazzi di scuola la prima volta risposero “perché ti pagano” al che replicai loro che ero volontario, non pagato, ma aggiunsi che la loro risposta si avvicinava al vero: perché? Perché ero e sono qui per interesse? Ma come? Sì, perché

- risponde a un mio desiderio comunicare ad altri, oltre che ai miei figli ed amici, il gusto di vivere la vita in compagnia di un a comunità cristiana, aperta a tutti

- fa bene anche a me discutere di questo, anche con persone che non la pensassero come me, perché mi arricchisce sempre imparare.

 

La domanda in titolo è per ciascuno di noi: potremmo condividere i nostri pareri cominciando in modo semplice a raccogliere le parole che ci venissero in mente in associazione alla domanda in titolo oltre alle parole Pasqua, festa, calendario, incontro e vita già espresse dal titolo: ad esempio ...

- passaggio, passione e morte del Signore, resurrezione, alleluja, salvezza, ...

Terrò queste parole come traccia della nostra riflessione, ma prima vorrei partire proprio dall’inizio del titolo “La Pasqua è una festa da calendario?”. Come risponderebbe la maggior parte delle persone del mondo occidentale, quello che dovrebbe aver maggiormente conosciuto il cristianesimo?

Tento io le prime risposte, ma mi potreste interrompere a piacere;

- è una festa di calendario perché cade sempre di domenica, altrimenti

- rischierebbe di essere anche omessa, come accadde, ad esempio, per 3 milioni di agende scolastiche stampate nel 2010 dalla Unione Europea per le scuole secondarie: quei diari  riportavano festività musulmane, ebraiche, indù ed altre varie, ma omisero di inserire  le festività tipiche della tradizione cristiana: pagina bianca alla data del 25 Dicembre;

- comunque stiamo sereni almeno per due motivi:

- da una parte sappiamo che non è vana la nostra fede, il nostro vivere  da credenti l’incontro che scalda la vita, perché Cristo è veramente risorto (l’augurio di Pasqua in oriente è Christros Anesti)

- e, comunque, anche la cultura dominante agnostica cerca di valorizzare la festa di Pasqua come “festa di incontro che riscalda col tepore della primavera”: gite fuori porta, visite a città d’arte, incontri sportivi: trovo che siano bellissimi quelli giovanili internazionali nella nostra città della Pace e confesso la commozione che provo nel vedere alcuni di quei giovani venire in Chiesa alla Veglia pasquale del Sabato Santo.

 

Quindi anche i credenti vedono la Pasqua come festa di incontro? Certamente, magari con amici memori del “Pasqua con chi vuoi” se “il Natale è con i tuoi”; e possiamo star certi che nostro Signore è felice di vedere, anche chi non lo conoscesse, festeggiare incontri di amicizia, perché leggiamo nel Vangelo che è venuto per la nostra vera felicità, e gli incontri di amicizia sono tra i momenti più belli in cui si percepisce il piacere di vivere.

Ma la parola Pasqua in significato cristiano ci richiama anche

- passaggio, passione e morte del Signore, resurrezione, alleluja, salvezza, ...-

e allora è naturale chiedersi che c’entrano la sua crocifissione e la sua resurrezione con la felicità degli incontri? A che serve parlare di salvezza se l’uomo non sentisse il bisogno di essere salvato, perché è convinto che è lui l’artefice del suo successo (homo faber fortunae suae)?

Proviamo ad immaginarci cosa risponderebbe Gesù se ci fosse qui tra di noi qualcuno che gli ponesse queste domande, cioè uno che non sentisse il bisogno di salvezza (ma forse siamo più d’uno a pensare così, anch’io a volte, e mi confesso per questo): non credo che Gesù, pur tendendoci la mano, si prodigherebbe per dimostrarci che abbiamo bisogno di lui; credo anzi che augurerebbe successo ai nostri sforzi anche se non prendessimo la sua mano; forse ci direbbe anche di non provare sensi di colpa se non sentiamo il bisogno di essere salvati; del resto ho sentito io stesso qui a Rovereto applauditi teologi, come Vito Mancuso, affermare che

- non è necessario credere nella resurrezione di Cristo per essere salvi

- e il valore salvifico della resurrezione di Cristo non è originale nei Vangeli ma sarebbe stato aggiunto postumo.

 

Ed io come la penso? Come spiegherei la gioia di un incontro cristiano che parte dalla resurrezione di Cristo, un evento scientificamente impossibile? E’ un evento storicamente testimoniato, ma resta un miracolo inspiegabile, un Mistero, che non mi appagherebbe se non lo vedessi presente qui ed ora nei volti di persone che mi testimoniano una umanità attraente iniziando la loro giornata con un sì a quel Gesù Dio che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore per il compiersi della sua opera nel mondo che è la vittoria sulla morte e sul male. E’ per questo che celebro coi miei figli ed amici la Quaresima, il triduo pasquale e l’alleluja finale con la gioia e la riconoscenza di incontrare continuamente nei volti dei credenti la presenza di Cristo; e rendo grazie a Dio per questa sua presenza in quei volti, che mi sostiene, mi conforta e mi allieta; questa mia gratitudine non è autoreferenziale, ma è aperta ad abbracciare chiunque, anche di altra fede, magari dandoci la mano solo per quel tratto di cammino della vita che condividessimo per valori comuni (e grazie a Dio ce ne abbiamo tanti, dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, alla maggior parte delle nostre leggi, alla solidarietà nel soccorrere il bisognoso senza badare ad etichette partitiche o religiose).

 

Mi pensate abbagliato dalla fede? Magari avessi avuto la grazia di S.Paolo disarcionato da quella folgorazione. No, la mia fede nel Risorto è frutto di un dono continuo nel tempo, che iniziò coi miei genitori e continua nel rapporto con i miei familiari, amici, educatori (sacerdoti o laici), con preghiera e Sacramenti, che mi aiutano a verificare ogni giorno quanto la fede corrisponde alle esigenze più vere del mio cuore umano: se non mi facesse sentire più umano, non mi interesserebbe la fede, né mi interesserebbe se non rispondesse alla mia sete di infinito, al bisogno di trovare un senso ad ogni aspetto della vita (la salvezza ritengo che sia nient’altro che verità e significato della mia vita), e ciò vale nel lavoro, nell’amore coniugale e genitoriale, nella cittadinanza attiva, nelle relazioni sciali, nella salute e nella malattia, nella ricchezza e  nella privazione. Non giudicherei le altre fedi rispetto alla mia, ma provocato dai miei ragazzi argomenterei restando sul piano umano, cioè confrontando nella realtà gli insegnamenti e le azioni della mia e altrui religione rispetto alla dignità e ai diritti fondamentali della persona umana: ad esempio? Interessarsi del prossimo, evitare di fargli male fisico se non per legittima immediata difesa di chi ti sia affidato in tutela, rispettare la libertà di coscienza, compreso il diritto di cambiare liberamente opinione e fede, rispettare la libertà di espressione e di educazione, non discriminare per casta o sesso o religione o denaro. E’ un’utopia? In parte sì, perché dobbiamo amaramente riconoscere il problema (pervasivo sia tra  gli agnostici sia tra i credenti, che dopo millenni prevale ancora il diritto della forza più che la forza del diritto e nel passato anche il cristianesimo ha abusato della forza rispetto al diritto. Ma pur tra tanti limiti e tradimenti, mi sentirei serenamente di non ingannare il bene dei miei figli offrendo loro di frequentare l’esperienza dell’incontro cristiano che riscalda la vita, perché se corrisponde alla mia esigenza di felicità potrebbe corrispondere anche alla loro. E non è un’esperienza per pochi eletti: è osservabile nella vita di milioni di santi benefattori dell’umanità, in migliaia di martiri innocenti, in miliardi di persone che, seguendo Cristo attraverso la sua chiesa, gustano la vita nella buona e nella cattiva sorte, esprimono un’umanità interessante, non sovrumana (sbagliamo, siamo peccatori e pentiti), ma pienamente umana. Ma oggi è come 2000 anni fa? Fin dalle origini e tutt’ora questa comunità di incontro cristiano, detta chiesa, è stata casta et meretrix, piena di santi e di peccatori, e per questo il successore di Pietro ci invita continuamente a rifarci alle origini essenziali del cristianesimo, liberandoci dalle contaminazioni della cultura dominante che    conta sui rapporti di forza e di convenienza economica anziché di fraternité, anche quando si riempisse la bocca di egalité e liberté.

Ma come vivevano i primi cristiani? C’è una bella lettera che un anonimo dell’anno 150 scrisse ad un  pagano incuriosito di come vivevano i cristiani: ve ne leggo una parte: lettera a Diogneto:

Vedo, caro Diogneto, che tu ti accingi ad informarti sulla religione dei cristiani e che cerchi di sapere di loro. A quale Dio essi credono e come lo venerano, perché essi disdegnano il mondo e non considerano quelli che i greci ritengono dèi, non osservano la superstizione, quale amore si portano tra loro, e perché questa nuova stirpe e nuova maniera di vivere siano comparsi al mondo ora e non prima ... Considera quelle cose che voi ritenete dèi: a queste servite e vi assimilate mentre odiate i cristiani perché non le credono dèi ... non pare anche a te che sia follia inseguire le stelle e la luna per distinguere le disposizioni divine (noi oggi diremmo l'oroscopo) coi cambiamenti in feste per alcuni, in dolore per altri (noi oggi diremmo fortuna/sfortuna): tu vedi che i cristiani si astengono dalla vanità, dall'impostura, dal formalismo e dalla vanteria: per quale mistero religioso i  cristiani si comportano così? Eppure non si distinguono dagli altri uomini né per regione, né per voce, né per costumi. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale ... Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo.  Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati... Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano ... Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.

 

Solo una comunità di incontro che scalda la vita alimentata da una forza spirituale straordinaria potrebbe ciò con sentire.

Un agnostico potrebbe dirmi: belle parole di 2000 anni fa, ma poi i Cristiani hanno fatto le crociate, hanno bruciato Giordano Bruno e le streghe, non hanno scomunicato gli schiavisti, e i luterani erano quasi tutti per Hitler: il cristianesimo è come tutte le altre religioni, anzi, per dirla con Barack Obama, i criminali dell’Isis di oggi sono come i crociati di ieri.

Qui, non abbiamo tempo, ma potremmo rimandare ad altra occasione per una riflessione di storia che dimostrerebbe non trascurabili differenze, e potremmo discernere sulla opinione di Barack Obama, che peraltro rispetto per la sua coerenza col punto di vista dei massoni, visto che lui ha la fratellanza in quella lobby, ma oggi potrebbe bastarci che col Papa senza equivoci i cristiani hanno ammesso errori e chiesto perdono per le lacerazioni dei secoli scorsi in cui furono corresponsabili ed anche oggi abbiamo di che chiedere perdono: anche per questo facciamo penitenza in Quaresima ed andiamo a confessarci. Ma, in sequela di nostro Signore morto e risorto, anche oggi riusciamo a scansare i maestri di odio e i procuratori di male fisico al prossimo assai meglio di chi aborrisce la festa della Pasqua cristiana, anzi, offrendo anche a quelli un abbraccio di perdono e di pace.

 

Vedi esempio di Andrea dalla Palestina  con ebrei e musulmani.

 

Abbiamo detto che celebrando la Pasqua facciamo una festa-incontro che riscalda la vita senza pensare di essere più festosi di altri, ma sappiamo anche di essere portatori di un significato particolare del nostro alleluja è inno di grazie a Dio, dalla creatura al Creatore, inno che si alza dalla comunità per la consapevolezza dei doni ricevuti e che abbraccia la comunità come Cristo ha detto perché l’amore fraterno fa tutt’uno con l’amore a Dio: «Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua e Ama il tuo prossimo come te stesso. Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi».

Anche qui l’agnostico potrebbe dirmi: ma di quali doni dovremmo ringraziare Dio? Non sono io responsabile di quello che ho, dallo studio ai soldi alla morosa? E se non sono io l’artefice della mia fortuna, sarà merito di qualche altro uomo; oppure si tratta del caso, come in tante sfortune. Effettivamente secondo una certa concezione illuminista è l’uomo l’artefice della sua fortuna, ma anche grandi pensatori (perfino Heidegger non credente ma teorico della donazione) riconoscono il fondamento naturale della concezione ebraico cristiana: siamo creature e l’immagine più bella ci viene dalla fragilità della vita neonata, quella che esige cura per sopravvivere; non a caso Hans Jonas, nel tentativo di fondare un’etica della responsabilità, assume la cura  parentale a paradigma normativo dell’agire  umano, ponendo al centro dell’azione «quella responsabilità in ogni momento intensa e cogente che il neonato reclama per sé». E il rendimento di grazie è «centrale proprio nell’Eucarestia» e il genio della Torà sta nell’aver fondato l’etica della gratitudine (a Dio, ma anche ai genitori) in un dovere stabile e oggettivo, non in un sentimento.

 

Dunque il Signore ci invita lieti alla festa-incontro che riscalda la vita, coscienti dei nostri limiti ma senza l’angoscia dell’errore, perché, come ci disse Gesù ben prima del cantante Jim Morrison “Il forte non è chi non cade, ma chi cadendo si rialza”; e non a caso anche Papa Francesco va a confessarsi e ha indetto il Giubileo della Misericordia.

 

Buon fine Quaresima, Buona Pasqua.