modificato 06/12/2016

 

Afghanistan: fatta saltare Hanifa Safi che rifiutava il velo

Correlati: integralismo islamico, male fisico mandatorio; velo

Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

Si batteva per i diritti troppo spesso negati delle afghane: mentre lei combatteva con le parole, apertamente, gli avversari hanno risposto prima con le minacce, poi con le armi. Ieri, una bomba, piazzata sotto l’auto, l’ha uccisa mentre andava al lavoro.

 

 

Trassi da Avvenire 14/07/2012 pag 17

Le donne fanno paura ai taleban

Massacrata Hanifa Safi che rifiutava il velo; ragazze in piazza a Kabul: «Basta»

DI LUCIA CAPUZZI

 

I capelli castani, lunghi e sciolti sulle spalle, sono l’unico segno distintivo che l’esplosione non è riuscita a cancellare sul corpo martoriato di Hanifa Safi. Quei capelli che Hanifa rifiutava di nascondere sotto il velo. Una scelta coraggiosa nell’Afghanistan orientale, liberato solo formalmente dai fondamentalisti taleban.

 

Una delle tante di questa donna che, come direttrice del Dipartimento per le questioni femminili della provincia di Langhman, si batteva per i diritti troppo spesso negati delle afghane. La lotta di Hanifa era però impari: mentre lei combatteva con le parole, apertamente, gli avversari hanno risposto prima con le minacce, poi con le armi. Ieri, una bomba, piazzata sotto l’auto, l’ha uccisa mentre andava al lavoro, sulla strada per Mihtarlam, capoluogo nella provincia di Laghman. Insieme a lei è morto il marito. Gli attacchi ai funzionari pubblici sono frequenti: per gli estremisti, le istituzioni sono “alleate del nemico occidentale”. Meno consueti sono quelli contro le funzionarie. A meno che non si tratti di donne impegnate contro gli abusi sulle altre. Come Hanifa. Immediata la reazione di sdegno delle autorità locali e delle Nazioni Unite. Dall’Italia, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha definito il delitto «ignobile».

 

Parole di condanna sono state espresse anche dai parlamentari Bertolini e Bergamini (Pdl). La morte di Hanifa Safi è solo l’ultimo segnale di allarme sulla condizione femminile nel Paese. Appena qualche settimana fa, nella vicina provincia di Parwan, a un centinaio di chilometri da Kabul, una giovane è stata massacrata da cinque proiettili, sparati dal marito che l’accusava di essere “un’adultera”. Durante l’esecuzione – ripresa in un video – una folla festante di uomini incitava il killer. Le immagini hanno fatto il giro del mondo, suscitando un’ondata di sdegno. E mercoledì, una folla di ragazze è scesa per le strade di Kabul per reclamare giustizia. I cosiddetti “delitti d’onore” si sono moltiplicati negli ultimi mesi: 17 afghane sono state uccise da mariti o familiari tra marzo e aprile. E sembra in crescita, per l’Institute of War and Peace Reporting, anche il numero di suicidi femminili a causa di violenze domestiche – che riguardano 9 donne su 10 – o di matrimoni forzati: centinaia di casi all’anno. Segno che, a 11 anni dall’inizio della guerra, non molto è cambiato. Soprattutto per le donne, che ai taleban fanno paura perché sfidano il loro potere sui clan. Eppure, di recente, la popolazione, esasperata, ha cominciato a ribellarsi ai barbari diktat dei taleban. Perfino nell’area orientale, al confine col Pakistan, da sempre la loro roccaforte.

 

A Paktia, ad esempio, martedì, è stata la gente a imbracciare le armi e a difendere il villaggio dall’attacco dei fondamentalisti. Due giorni prima, nel Nuristan, studenti e insegnanti hanno sfidato l’ordine taleban di chiudere le scuole. Alla fine, non solo queste ultime sono rimaste aperte, ma sono stati gli insorti ad andar via. Lo stesso è accaduto nella provincia di Ghazni.

 

© RIPRODUZIO NE RISERVATA