modificato 18/11/2016

 

Il Messia? Compagnia (per la Chiesa) o morte (per Isaac Singer)

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

Da tempi.it 28/12/2011 pag 40

Il Messia? Compagnia o morte.

Bisogna volere sul serio indipendenza e libertà. E occorre davvero non limitare la ragione. Cosa dà "diritto alla grazia"? Vivere all'altezza della nostra umanità. Vivere secondo Marco. Così lo Sconosciuto verrà, anzi già viene

Di Luigi Amicone

«il Messia è la morte» (Isaac Singer)

«Ratzinger, diciamo cosi, è l'ultimo uomo sano ... il Vaticano non era necessario, ma lo è oggi, quando l'uomo comune, vestito di grigio, si lega la morte al polso come prima l'orologio» (Francisco Umbral, scrittore spagnolo laico e agnostico)

   Dice ALAIN FINKIELKRAUT: «Pico della Mirandola mette nella bocca di Dio una splendida dichiarazione di indipendenza umana che si camuffa di devozione. Avviene nell’ Oratio de hominis dignitate, 1482. "Io non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, al fine che tu, sovrano di te stesso, compi la tua propria forma liberamente, al modo dell'artista o dello scultore". è la vera Bibbia dell'età moderna». L'uomo artefice di sé. La verità è figlia del tempo. Abolizione del definitivo. «L'uomo è l'essere dove l'agire non scaturisce dall'essere ma dove l'essere scaturisce dall'agire. L'uomo come l'essere che fa eccezione all'essere». Riassume il cardinale Angelo Scola: «Dio è diventato una parola. L'intenzione estrema del momento sfavorevole. Non una presenza normale».

   Che genio questo Pico della Mirandola. Eppure questo genio di indipendenza e di libertà così moderni, non pare tanto diverso dal genio di Agostino. Che mille anni prima, aveva detto con lo stesso entusiasmo di Pico: «Dio crea l'uomo per introdurre nel mondo la facoltà del dare inizio: la libertà». L'osservazione dell'uomo di Ippona è sostanzialmente identica. Anzi. È più acuta, più completa. Dove sta infatti lo spartiacque tra Agostino e Pico? Tra noi moderni e coloro per cui "Dio è una presenza normale"?

   Dice Hannah Arendt che «non mi sono fatto da me stesso». E «solo perché non mi sono fatto da solo io sono libero; se mi fossi fatto da solo, avrei potuto prevedermi e in tal modo avrei perso la mia libertà». Perbacco, il nostro amico ex Movimento studentesco di Mario Capanna, il compagno Walter Abbondanti, ci calza a pennello: «Nasce mia figlia. Sono emozionatissimo. La prendo in braccio. Mi viene spontaneo un pensiero: "Ma la vita non è mia". Giuro, non ci avevo mai pensato prima».

   Come tutti i grandi pensatori distratti dalla realtà, anche Pico della Mirandola e successivi, fino a noi, cittadini e giornali moderni, ci distinguiamo per una spiccata sensibilità ad appendere i dati al chiodo del nostro pregiudizio. Anche solo con un banalissimo, sottilissimo, invisibile spostamento d'accento. Siamo a livelli del bosone di Higgs. Quando tu accetti un invito a cena è chiaro che non hai messo mano alla scure. Ma è altrettanto chiaro cosa significhi "sovrano di me stesso"? Agostino e Pico sono agli antipodi pur apparentemente celebrando la stessa cosa.

   Fin qui - specie quando siamo sorpresi dalla gioia o dal dolore - ci possiamo arrivare anche con la nostra testa (basta pensarci!). Ma può la nostra ragione arrivare ad amare questo misterioso soggetto introdotto dall'apprensione stupita che "la vita non è mia"? Soprattutto, a chi essere riconoscenti, diceva un immenso poeta scandinavo, a chi dire «Tu che riempi il mio cuore della tua assenza, che riempi tutta la terra della tua assenza»? Non si può amare ciò che non si conosce. Anche se è Ciò che mi fa e fa le cose così come le persone che mi sono più care.

   Dio? O che altro? E che volto ha? Nessuno lo conosce. Tutt'al più si può provare timore, ossequio. Tutt'al più, nella misura in cui una vita rimane esaminata, vigile, educata al senso del Mistero, questo "sentire" produrrà un tipo umano di poeti, filosofi, politici, casalinghe, magistrati, imprenditori, e di qualunque altro genere di attività umana, con caratteristiche originali rispetto a chi tutto questo scansa (o così, semplicemente, non ci pensa). Ma non siamo comunque che all'inizio e alla fine di ogni immaginazione umana. Siamo a tutte quelle forme di religione - religiose e laiche - che sono apparse sulla faccia della terra.

   È così. La ragione deve arrivare all'Altro per non autoingannarsi nemmeno di uno iota, nemmeno di un bosone di Higgs. Ma arrivando all'Altro non può che fermarsi. E vaneggiare sulla soglia di uno Sconosciuto. E bussare alla porta.

   E bussa, bussa l'essere all'Essere. Perché l'essere è fatto per tuffarsi in sua madre e dire quel che dice Marina Corradi da bambina. «Tu sei il mio mare». «Sei tutto». «Senza di te io, bambina, non esisto». Ma è dell'ordine delle previsioni sia mia madre che mi aprì la porta, sia che l'Essere mi apra la porta?

   Tutto accade. Come una giornata di sole, dice Camus. O come una giornata di lutto, dice Barthes. Scrive infatti questo dio dell'Olimpo di noi moderni davanti alla scomparsa della madre: «Io ho visto la morte dell'esser caro, me ne spavento... Di colpo mi è divenuto indifferente non essere moderno». Ma ecco, di nuovo, anche quando scompare l'essere riempie il cuore della sua assenza, riempie tutti i cuori del mondo della sua assenza. Perciò, scopre Barthes, «si tratta di dire coloro che io amo e non di dire loro che io li amo».

Un momento di verità

Nel vangelo di Luca, il "dire coloro che io amo" dice di un bambino: «Ecco è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore». Luca dice una presenza, perché quella presenza è all'origine di nient'altro che di una realtà umana storica da cui è scaturita una "vita nuova" in tutti i sensi. Come si fa a trovare? Come si fa a sapere se ha ragione Luca o Isaac?

   Dice don Giussani: «Non è un ragionamento astratto che fa crescere, che allarga la mente, ma il trovare nell'umanità un momento di verità raggiunta e detta». Trovare nell'umanità. «Sono Marco Gallo, un ragazzo monzese di 17 anni. Ieri, andando in pellegrinaggio alla beatificazione di Giovanni Paolo II, è come se fosse nato in me un prepotente desiderio di conoscerlo. Ho cercato di capire chi era, e sono rimasto profondamente colpito da queste sue parole: "Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici, come quelli politici, i vasti campi di cultura di civiltà di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo, solo Lui lo sa. Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore, così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra; è invaso dal dubbio, che si tramuta in disperazione. Permettete quindi, vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia, permettete a Cristo di parlare all'uomo, solo lui ha parole di vita, sì!, di vita eterna". È come se, finalmente, qualcuno mi abbia capito. Una comprensione che va oltre quella degli amici e delle persone che ho incontrato. Come se tutto il segreto della vita fosse racchiuso qui, in queste parole. Cavolo, sono andato in chiesa, e per la prima volta in moltissimo tempo ho pregato intensamente, affinché queste parole rimanessero bene incise dentro di me, affinché realmente Cristo, ora, di fronte alla mia situazione che realmente è di dubbio e di disperazione, mi abbracci, ora».