modificato 28/06/2015

Decreto scuola 2015  art16 su gender didattica

 

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Pagina senza pretese di esaustività o di imparzialità: link e commenti blu sono miei(CzzC)

 

 

il Senato ha approvato il decreto scuola che il 7 luglio arriverà alla Camera per l’approvazione definitiva: l’articolo 16 fa riferimento o no all’educazione e orientamento di genere? Leggiamolo

 

 

<Tempi 26/06/2015>: Leggiamolo: «Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013».

Intanto diciamo che qualche parola è cambiata rispetto a come era stato scritto la prima volta. Ora si parla di «educazione alla parità tra i sessi», prima di «parità fra i generi». Ma non accontentiamoci di qualche parola. L’articolo così com’è scritto è poco comprensibile. Rimanda ad altre cose, il decreto 93/2013 e la legge 119/2013. Leggiamoli. Tra le tematiche indicate dall’articolo 5 si fa riferimento al “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. A pagina 18, al punto 5.2 c’è scritto: «Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, [CzzC: la nostra Ferrari/PD/PAT è stata più franca col termine scardinare vs i cosiddetti stereotipi d i gender:  papà, mamma da sostituire con genitore1 e genitore2?] la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica».

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Rimane il fatto che l’articolo 16 così come è scritto, alla fine, apre o per lo meno dà la possibilità di insegnare l’ideologia di genere. Questo mi pare innegabile.

Quindi la manifestazione di Roma ha fallito? No, anzi. La manifestazione è servita a prendere coscienza di come stanno le cose, di ciò che succede nelle nostre scuole e di come si muovono certi politici. La manifestazione ha richiamato tutti ad avere ancora di più una grande responsabilità personale di fronte a ciò che accade. E anche a livello politico credo che a qualcosa sia servita: il dibattito che si è creato in questi giorni intorno al maxiemendamento, o rispetto alla proposta di legge Cirinnà, non credo ci sarebbe stato. Oggi c’è più coscienza. La Cirinnà ha iniziato a ripetere che la sua proposta non prevede i matrimoni omosessuali. Le associazioni gay si sentono tradite e iniziano a criticarla. Penso di poter dire che questo è anche merito della manifestazione del 20 giugno.

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Il ministro dell’istruzione ha promesso un comunicato dove ribadirà che queste lezioni saranno per prevenire bullismo, razzismo o altre forme di violenza come il femminicidio, ma non avranno a che fare con l’educazione sessuale o di genere. Ma a cosa serve un comunicato? Scriva almeno una circolare, a livello amministrativo è una presa di posizione importante e formale anche se poi il dirigente scolastico può comunque baipassarla. Ripeto, già prima ma oggi ancora di più, la responsabilità è personale.