ultima modifica il 03/05/2019

 

Mohammed-Joseph, lo sciita iracheno in carcere per il Vangelo

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

CzzC: traggo da Avvenire 25/98/2010 pag 18

 

Mohammed-Joseph, lo sciita in carcere per il Vangelo 

 «È il nostro turno di ricevere il prezioso sacramento. La testa inclinata davanti per ricevere dal prete l’acqua benedetta, sento le solenni parole pronunciate dal celebrante: Ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo... E penso a tutti questi anni di sofferenze nel corso dei quali ho creduto che era venuta la mia ora, ma durante i quali non aspiravo che ad una sola cosa: vivere abbastanza per conoscere questo momento». Mohammed Fadelle, divenuto Joseph, ha aspettato 23 anni dal primo momento in cui desiderò diventare cristiano all’istante in cui è rinato spiritualmente al fonte battesimale. In quasi un quarto di secolo questo iracheno ha vissuto avventure incredibili, superato ostilità, riscontrato sulla sua pelle le parole di Cristo: «Sarete traditi dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici» ( Lc 21, 16). Tutto questo lo ha raccontato in un avvincente libro appena uscito in Francia, Le prix à payer  (L’ouvre Editions, pp. 222, euro 18).

  Joseph ha conosciuto, per il suo interessamento al cristianesimo, il duro carcere di Abu Ghraib, noto per i soprusi dei soldati americani sui detenuti iracheni, attivo anche sotto la dittatura di Saddam Hussein: per oltre un anno Joseph marcì in una cella, numero di prigionia 318. Ad Abu Ghraib i feroci secondini volevano estorcergli i nomi dei cristiani che lo avevano «agganciato»: «Sappiamo che tu frequenti delle chiese e dei cristiani. Quali chiese? Chi sono questi cristiani? Dove abitano? Chi è il primo cristiano che ha osato rivolgerti la parola? Parla!». Un anno di sevizie che gli fanno perdere 70 chili, dei 120 che pesava in precedenza.

  Mohamed-Joseph ha anche incontrato la – comprensibile – diffidenza dei cristiani di Baghdad, timorosi che questo musulmano che chiedeva lumi e formazione sul cristianesimo potesse essere una spia. O comunque costituire un potenziale pericolo per la sicurezza dei singoli e della comunità, come sottolineava a Mohammed abuna Gabriel, il primo prete che lo accolse: «Domandando il battesimo, tu rischi la tua vita, ma anche quella dei cristiani che risponderanno alla tua domanda».

  Si è confrontato anche con una fatwa di morte perché simpatizzante della religione delle genti del Libro, come il Corano chiama cristiani ed ebrei, un ordine di uccisione pronunciato niente meno (– era il giugno 1997, l’aspirante battezzando venne «deportato » nella città di Najaf, la capitale santa degli sciiti –) che dall’ayatollah Mohammed Sadr, padre di Moktada Sadr, noto per la sua guerriglia antiamericana dopo la caduta del rais di Baghdad. Una fatwa che l’ha rincorso anche in Giordania, dove si è rifugiato con la moglie Anouar e i due figli: addirittura i fratelli di Joseph lo rapiscono dalla casa di Amman, dove una suora irachena e un sacerdote avevano accolto la famiglia di fuggiaschi. Joseph si salva per miracolo, sentendo una «voce di donna» – forse Maria, sembra suggerire Joseph stesso – che lo incita a fuggire. Era stata sempre una voce, singolare ma non troppo, il motore della ricerca spirituale di Mohammed, quando nel maggio 1987, mentre era sotto le armi e si era trovato a fianco un commilitone cristiano, Massoud, Mohammed sognò un uomo che, mentre lui si trovava davanti ad un ruscello che non riusciva ad attraversare, gli si rivolse così: «Per superarlo bisogna che tu mangi il pane di vita».

  «Non è a causa di Cristo che ho sofferto – spiega Joseph nel suo resoconto –, ma a motivo dell’assenza di libertà che la società musulmana impone, di cui la mia famiglia non ha osato disfarsi, per orgoglio e per timore della propria rispettabilità». Ma il cattolico Joseph oggi vede il suo percorso sotto un’altra luce: «Attraverso le persecuzioni che mi hanno colpito, sono fiero di aver potuto testimoniare la mia fede cristiana».  

 Lorenzo Fazzini  

 

Iraq/la storia

La detenzione ad Abu Ghraib, l’ostilità aperta della famiglia, il battesimo ricevuto nell’esilio in Giordania. In un libro la drammatica vicenda di un convertito di Baghdad. «Fiero di testimoniare la mia fede»