modificato 24/03/2017

 

Donne in città - 21 interviste a donne roveretane – Rita Simonini

Correlati: Steineriani e antroposofia; società teosofica

Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

commento e pongo domande all’autore (numerate progressivamente per immediatezza di riferimento) con gli intendimenti che qui preciso (umile tentativo di correzione fraterna, assolutamente reciprocabile)

 

 

201x traggo da pag 213 a pag 226 di Donne in città 21 interviste a donne roveretane

 

RITA SIMONINI

 

Ho contattato la signora Rita, che non avevo mai incontrato, una prima volta per telefono ... lavora nella Biblioteca civica di Rovereto ... è nata a Rovereto, dove da sempre vive, nel gennaio del 1953 ... Brillante negli studi, viene avviata dai genitori a studi di ragioneria - cossi te gai 'na carta en man!»-, ma i suoi interessi sono altri: dopo la maturità decide di frequentare un corso provinciale per la formazione di bibliotecari ... vince un posto di Stato Civile presso il Comune di Rovereto, ... frequenta, come studente lavoratore, la facoltà di Sociologia ... nel 1977 vince il sospirato concorso per bibliotecario e inizia la sua carriera lavorativa ... non ancora conclusa.

 

Rita, in queste brevi note che delineano il tuo primo percorso scolastico e lavorativo ti ritrovi, oppure ritieni che manchi una parte di te stessa?

In effetti da quanto hai tratteggiato emerge solo la punta dell'iceberg, non quelle tensioni di crescita personale e umana che già da giovane avevano cominciato a manifestarsi dentro di me e che poi ho coltivato e voluto per il resto della mia vita.

Provengo da una famiglia molto religiosa e osservante, che mi ha educata amorevolmente alla fede cattolica, alla quale ho aderito in gioventù con profonda convinzione, pur avvertendo confusamente che dentro di me covava uno spirito libero. [CzzC: scusa cara Rita, ti chiederei a che alludi: che la fede cattolica non rispetterebbe la libertà di spirito? Non contempla anche la libertà di sbattezzarsi, che altrove sarebbe esiziale? Ritieni che sia più rispettata la libertà nelle sette che nella Chiesa cattolica?]

Sono stata attivista nella parrocchia di Santa Maria, il rione dove abitavo, dedicando tempo, energia e passione all'Azione Cattolica, all'oratorio, ai campeggi estivi, al bollettino parrocchiale, all'attività di animazione di gruppi.

Con il passare degli anni, però, cresceva la mia inquietudine interiore: continuava il mio impegno nella parrocchia, ma cominciava anche il mio interesse per quei movimenti innovativi che stavano manifestandosi ai margini della Chiesa cattolica. [CzzC: cara Rita, ti chiederei a che alludi: come se l’innovazione fosse emarginata nella Chiesa cattolica; ma mi dirai di che innovatori si tratta e di che frutti hanno portato].

 

In effetti, quei primi anni settanta, che coincidono con la tua giovinezza, videro fiorire e affermarsi molte frange innovative all'interno del mondo cattolico.

Oh si... Frequentavo allora i convegni annuali della Pro Civitate Christiana di Assisi, dove ebbi l'occasione di ascoltare la parola di personaggi del calibro di Ernesto Balducci, Roger Garaudy [CzzC: filosofo comunista convertitosi all'islamismo negazionista dell'olocausto], Raniero La Valle, Sabino Acquaviva, Giorgio La Pira e tanti altri. [CzzC: ottimo seguire G. La Pira la cui innovazione procedeva nel cammino guidato dal magistero petrino, come da secoli il cristianesimo innova a difesa e sostegno non solo pro civitate christiana, ma pro bene comune sulla terra; basta vedere a quali efferatezze e inganni conducano certi maestri di odio e di occultismo alternativi al magistero petrino; vuoi che, rifiutando la Risurrezione di Cristo, iniziamo a catechizzare bambini e genitori nella bufala della reincarnazione?]

Il mio orizzonte cominciò a dilatarsi e la curiosità a crescere per il messaggio che proveniva dalle comunità di base, dai movimenti di avanguardia, dalla teologia della liberazione.

Su un altro fronte il mondo si stava aprendo ai fenomeni del paranormale e anche a Rovereto era attivo un gruppo, il GER— Gruppo esoterico roveretano — che proponeva incontri pubblici sull'occultismo, l'alchimia, i fenomeni extrasensoriali ecc. Ebbi l'occasione di partecipare ad alcune conferenze, a seguito delle quali cominciai a frequentare marginalmente persone che si interessavano a questi argomenti.

Mi si stava aprendo tutto un mondo parallelo, che aveva a che fare con il mistero, con il sacro, con la spiritualità in un senso più vasto.

E fu proprio a una di queste conferenze, alla Sala filarmonica, che la mia vita prese una piega inaspettata.

 

In che senso?

Nel senso che incontrai l'amore. Ma sì, quello con la "a" maiuscola! Un vero e proprio colpo di fulmine. Un riconoscersi a prima vista, senza ombra di dubbio.

Era il febbraio dell'anno 1976, ricordo che ero seduta in sala e vicino a me c'era una poltrona vuota con sopra un cappotto; me ne stavo lì tranquilla e beata ad aspettare l'inizio della conferenza, quando mi si avvicina un ragazzo, tutto agitato, che con fare deciso mi apostrofa: «vieni, vieni, ho bisogno di te! Andiamo in bagno... ma no, non penserai mica che... insomma spicciati, non accendere la luce per carità, prendi il cappotto e copri qui».

Eseguo interdetta e confusa queste istruzioni, per scoprire poi che il ragazzo era il fotografo ufficiale della conferenza, che il rullino della sua macchina fotografica si era sganciato, che per rimetterlo in posizione bisognava aprire l'apparecchio, ma occorreva compiere questa operazione assolutamente al buio, pena la perdita di tutte le foto scattate.

All'uscita Gino mi aspetta, mi viene incontro e mi porge le sue scuse per la "rudezza" dell'approccio... ma non fini li!

Ci diamo appuntamento per il pomeriggio del giorno successivo al bar, e davanti a due succhi di frutta alla pera cominciamo a parlare. E di parlare non abbiamo più finito.

Già dopo una settimana Gino mi chiama e dice: «Senti, ho aspettato anche troppo. Mi vuoi sposare?»

E io ho detto sì.

 

Gino proveniva dagli stessi ambienti cattolici che ti avevano vista lavorare con tanta dedizione?

Assolutamente no. La sua era stata un'esperienza di tutt'altro genere, che non solo lo aveva presto allontanato dalla frequentazione della chiesa, ma lo aveva altresì reso ribelle a ogni fede.

Figurati un po' tu come prese la cosa la mia famiglia: io almeno, anche se ormai in maniera incostante, frequentavo la chiesa; il mio ragazzo no.

I miei genitori ne soffrirono molto, mi ostacolarono anche, ma ormai avevo deciso di aprire le porte a quel mio spirito libero che tenevo sopito da tanti anni.

A questo punto ti puoi chiedere, ma allora che cosa univa veramente te e Gino? In che cosa consisteva la vostra unità di intenti?

La risposta è semplice e allo stesso tempo complessa: consisteva nel riconoscere e rispettare Tuniversalmente umano", come noi lo chiamavamo allora, che si cela misteriosamente in ognuno di noi.

Ci sposammo, tra lo sconcerto dei parenti, con il rito del matrimonio civile seguito dal matrimonio cattolico con dispensa vescovile; questo perché mio marito, che si dichiarava non praticante, si assumeva l'impegno di non ostacolare in alcun modo la mia vita religiosa.

 

 

Sono curiosa di sapere che seguito avete dato ai vostri rapporti spirituali. Avete fatto esperienze comuni? Vi siete influenzati l'uno con l'altro? Avete cercato di convincervi a vicenda?

Niente di tutto questo. L'anelito verso la conoscenza ci ha resi interiormente aperti e vigili, poi la vita ha fatto il resto.

Così accadde che Gino fosse incaricato di effettuare un servizio fotografico per conto dell'architetto Camillo Zucchelli di Arco, un personaggio eclettico, di larghe vedute, che da qualche anno non è più fra noi.

Lo incontrammo, si cominciò a parlare e l'architetto, come era solito fare, ampliò la conversazione spaziando in ogni campo dello scibile, dal mondo sensibile a quello soprasensibile, affermando che quest'ultimo mondo può essere conosciuto e penetrato.

Ci parlò di agricoltura biodinamica, di architettura organica, di scienza occulta, e nel far questo nominò Helga Biedermann, un'anziana signora russa nella cui casa di Arco si riuniva un gruppo di eminenti personalità del mondo antro-posofico, e cioè del mondo che studia la scienza dello spirito.

Quelle parole fecero scattare immediatamente in mio marito il vivo interesse per l'agricoltura biodinamica, e in me la curiosità di sapere qualcosa di più sul fondatore dell'antroposofia, Rudolf Steiner, un nome che sentivo per la prima volta.

Ci sentimmo attratti da questo nuovo mondo e cominciammo così a orientare i nostri interessi verso la scienza dello spirito.

Dopo l'esperienza cattolica, l'interesse per i nuovi movimenti emergenti e l'approccio con il mondo esoterico, mi pare di capire che questa fosse come una nuova opportunità che la vita ti presentava per farti sperimentare una strada ancora nuova. E tu, come hai risposto a questo invito?

Be', guarda, i primi passi sono stati timidi e controversi, perché sentivo che c'era qualcosa che mi corrispondeva interiormente: assistendo ai discorsi in casa Biedermann mi sembrava di scorgervi un fondo di verità, ma ogni tanto ti confesso che perdevo il filo.

Il nuovo mondo mi si rivelava a fatica.

Per esempio, la lettura dei primi due libri di Steiner, fatta con l'unico metodo che conoscevo, e cioè quello di tipo scolastico-intellettuale, mi lasciò molto confusa, tanto che rinunciai solo dopo poche pagine. Mio marito al contrario si trovava come un pesce nel mare, per lui le cose erano ovvie, non aveva difficoltà alcuna a integrarle nel suo vissuto e nel suo cuore. Io ero più in difficoltà anche se, come ripeto, "sentivo" in modo forte che questa era per me la strada giusta.

 

Mi vuoi parlare della tua famiglia, della maternità, dei figli, della gestione della casa e del lavoro in biblioteca? Come hai potuto conciliare tutto questo con i tuoi nuovi interessi?

In realtà le cose si sono intrecciate. Due anni dopo il matrimonio sono diventata mamma, e nel giro di poco tempo ho avuto tre bambini.

E innegabile che la mia vita fosse diventata una lotta contro il tempo: dovevo riuscire a essere mamma, moglie, assistente di mio marito, la cui vita è stata più volte gravemente segnata dalla malattia, e bibliotecaria.

Ma nel contempo si era acceso in me il vivo desiderio, anzi ancor di più, l'impellente necessità di trovare un percorso pedagogico che potesse rispondere al grandissimo senso di responsabilità che avevo accolto in me nel decidere non solo di avere, ma anche di educare nella massima consapevolezza, dei figli. Cominciai dunque a chiedermi cosa prevedeva in questo campo la pedagogia Waldorf, nata dagli impulsi dell'antroposofia.

Allora in Italia, e anche nel nostro Trentino, si era veramente agli albori: pensa che non c'era nemmeno un libro su questo argomento tradotto nella nostra lingua.

Non mi scoraggiai, e con tenacia riuscii a trovare una casa editrice francese -il francese lo conosco bene — che aveva pubblicato il testo Geburt und Kindheit del pediatra antroposofo Wilhelm Zur Linden. Quel libro divenne presto il mio breviario per vivere concretamente e applicare sui miei bambini, oltre che su me stessa, i principi della pedagogia Waldorf.

Ma mi sentii completamente convinta di questa mia scelta solo quando, leggendo i testi di Rudolf Steiner a sfondo pedagogico, vi trovai pieno riscontro con le esperienze del mio vissuto di madre e del mio intimo "sentire".

In effetti l'adesione a una nuova visione della vita può avvenire sia in maniera intellettualistica, attraverso lo studio e la riflessione, sia in maniera meno astratta, vivendo concretamente e mettendo in pratica tutti i giorni le idee in cui crediamo. Logicamente, i due sistemi andrebbero integrati, ma dipende dalla situazione in cui ci troviamo e comunque l'importante è cominciare. Proprio cosi. Io allora non avevo tanto tempo per leggere, studiare, frequentare: l'approccio conoscitivo all'universo antro-posofico per me è arrivato tardi, ma con Gino decidemmo da subito di mettere in atto, in modo veramente pionieristico per quegli anni, tutte le scelte educative che provengono dall'applicazione dell'antroposofia, e le portammo avanti senza cedimenti.

Fu questo il mio banco di prova per vivere e applicare la scienza dello spirito che dava sostanza e senso alla mia esistenza: applicarla nella vita di ogni giorno e non solo su me stessa, ma su ciò che avevo di più caro e prezioso: i miei tre bambini.

 

Potresti scegliere due concetti fondamentali di questa pedagogia e riassumerli in poche parole?

Ci provo, anche se è un'impresa!

Secondo la concezione di Steiner, che abbraccia l'intero universo nel suo divenire, l'essere umano è composto dal "corpo fisico", da quello "eterico o vitale", dal "corpo astrale", che è quello della psiche e delle emozioni, e dall'"io", che è puro spirito.

Ogni essere umano ha la sua propria specificità, ma in tutti noi si susseguono fasi della durata di circa sette anni, in ognuna delle quali è necessario agire in modo diverso per permettere a questi corpi di svilupparsi armoniosamente.

Nel caso del bambino piccolo, il principio base dello sviluppo è l'imitazione: imitazione non solo di azioni visibili, ma anche di sentimenti, che vengono assorbiti fino a diventare responsabili della sua stessa crescita.

Mi espongo ancor di più e mi permetto di parlare delle "qualità morali" che in questo modo il bambino accoglie in sé dall'ambiente e dalle persone che lo circondano, e che saranno determinanti per il suo avvenire, allora puoi capire perchè l'educazione si trasforma in una sfida continua e costante.

 

 

Un sacrificio, quello che allora ti venne richiesto, che fu da stimolo per una promessa che facesti a te stessa. Di che promessa si tratta?

Promisi a me stessa che, appena possibile, mi sarei impegnata con tutte le mie forze per fare in modo che altri genitori potessero scegliere per i loro figli, se lo volevano, una scuola o un asilo Waldorf nella nostra realtà trentina.

Questo però non avvenne subito. Dopo che la casa della signora Biedermann smise di esserne il catalizzatore, a seguito della decisione della donna di ritirarsi a vita privata - poco dopo sarebbe venuta a mancare -, sembrò che questa feconda esperienza che conducevamo fosse in procinto di sciogliersi, e invece fu la città di Trento che rispose positivamente alle sollecitazioni che il dottor Gasperi e pochi altri del gruppo cercammo di dare.

Così nel 1992 fu possibile avviare la prima scuola Waldorf a Bosentino, a cui io e Gino contribuimmo come soci fondatori.

Successivamente, a Rovereto una fortuita coincidenza fece incontrare noi "cultori" della pedagogia Waldorf con un gruppetto di mamme che cercavano per i loro piccoli un asilo "diverso". Decidemmo di unire le forze, e lavorando molto intensamente riuscimmo a fondare, nel 1994, l'Associazione Rudolf Steiner per la Pedagogia, di cui ancora oggi ricopro la carica di presidente, dando vita nel 1997 all'asilo "Colle fiorito". Un asilo che è partito con soli nove bambini, e che oggi ne accoglie circa trenta, richiedendo a tutti noi, ma in particolare a genitori e insegnanti, di condividere ogni giorno l'impegno e la fatica, ma anche la gioia, di realizzare quella grande opera che è l'educazione dei nostri figli in coerenza con la loro intima natura.

Un sogno realizzato e... una promessa onorata!

 

Qual è la tipologia di persone che si interessa e si accosta al pensiero steineriano e, in particolare, alla pedagogia Waldorf?

Vedi, il proselitismo non mi appartiene, anche perché credo che non abbia senso.

Tu, come essere umano, non sei obbligato a credere a nulla, se non a quelle verità che sperimenti come vere. Sono quelle che ti appartengono, solo quelle. È invece importante che tu possa conoscere le varie "proposte spirituali", ed essere messo nella condizione di testare altre possibilità, questo sì, ma sei assolutamente libero di seguire solo quelle che senti tue, quelle che danno un senso alla tua vita.

Ecco, alla pedagogia Waldorf si avvicinano le persone che si sentono attratte dai contenuti di queste conoscenze, che le sperimentano interiormente come vere e che sono disposte anche al sacrificio per aiutare i loro figli a crescere.

Come e quanto ha cambiato la tua vita la strada che hai deciso di seguire?

All'esterno non trapela granché, ma dentro si cambia davvero tanto, nel senso che si resta sempre svegli al disegno della vita che di volta in volta ti si dipana davanti.

Cambia il modo in cui ti avvicini agli eventi, il modo in cui li valuti: per esempio se ti trovi a dover affrontare una prova dolorosa, ti chiedi: che senso ha per me? Cosa vuole insegnarmi? Dove vuole portarmi il mondo? Cosa devo essere pronto a dare adesso? Perché?

E puoi riuscire quasi sempre a conservare quel fondo di serenità, che non è mai solo accettazione passiva, per cui se ti si presenra una prova, per quanto dura, sei certo che hai le forze per superarla e uscirne migliore.

 

So che davanti alla pesante prova del cancro di tuo marito siete riusciti a mettere in pratica quello che mi hai appena detto. Anche con i figli hai sempre tenuto fede alle tue convinzioni?

I miei splendidi ragazzi! Pensa che vivono tutti e tre all'estero. Sarebbe troppo lungo raccontarti le loro vicende, ma posso dirti a ragion veduta che ho sempre cercato di permettere che in ognuno di loro si manifestasse il senso profondo della loro incarnazione.

Io e Gino, anche con grandi sacrifici di tempo, denaro, tensioni emotive, abbiamo aperto le porte perché potessero scoprire il mondo per ritrovare se stessi, e loro hanno aperto anche le finestre...

Hanno grattato anche il fondo delle borse di studio ricevute, si sono sempre mantenuti lavorando e non ci hanno mai chiesto una lira.

Alcuni mi dicono: li hai tutti e tre lontani! Ma non si pensa alla gioia di saperli contenti e soddisfatti del loro lavoro, autonomi e maturi nell'affrontare la vita, fiduciosi nel futuro? E poi, chissà che non sia proprio anche grazie alla loro lontananza che io possa mettere a disposizione parte delle mie risorse per dedicarmi volontariamente ad altre attività sociali!

 

Che rapporto hai adesso con loro?

Si sono laureati tutti brillantemente.

Aram, il più grande, sta impegnando la sua vita nella cooperazione internazionale, lavora in tutto il mondo dedicandosi all'ideazione e all'attuazione di progetti di promozione e sviluppo condivisi con gli abitanti del luogo.

Adiel, il secondo, ha lavorato come tecnico del suono, poi si è laureato come coordinatore della protezione civile e ora ha scelto di vivere vicino e in armonia con la natura facendo l'istruttore di kite surfing in Egitto.

Assia, la più giovane, ha consacrato la sua vita alla musica ed è diventata un'arpista famosa. Ora vive in Germania, dove insegna, tiene concerti ed è impegnata nella realizzazione di un college per arpa, per aiutare giovani e meno giovani a diventate "artisti della musica".

Noi abbiamo sempre cercato di instillare in loro una grande fiducia nel mondo, incoraggiandoli a incontrare il prossimo senza prevenzione e pregiudizi, ma mai ingenuamente: la vita va vissuta con coraggio, ed è la tua stessa positività a provocare incontri sttabilianti, che nel momento più inaspettato ti possono regalare occasioni d'oro.

Io, quando aiuto qualunque ragazzo, lo faccio anche per amore di sua madre, perché so che i miei figli hanno trovato dall'altra parte del mondo tante madri che lo hanno fatto per me. E come io apro casa ai loro amici, anche loro hanno trovato chi li ha aiutati, chi ha aperto loro le porte e il cuore; donne, uomini, famiglie che li hanno sostenuti nei momenti difficili.

Oggi, sfruttando skype, le mail, la videocamera, ci teniamo sempre in contatto, e colgo tutte le occasioni possibili per dir loro che se si sono trovati a vivere in quest'epoca difficile vuol dire che ne hanno le forze, e che devono continuare a tenere orecchie e occhi aperti vetso ciò che il mondo ha da offrire. Anche se sono situazioni inattese o eventi inaspettati.

Saper leggere senza preconcetti nel flusso imprevedibile della vita è la strategia vincente che ti porta a capire il senso della tua esistenza e a cercare di realizzarlo.

 

Vuoi aggiungere qualcosa che magari non ti ho chiesto ma che ci tieni a dire?

Sì, per prima cosa voglio ringraziare Gino con tutto il cuore per questa nostra chiacchierata.

E come seconda cosa, vorrei riferire un antico proverbio russo, che mi ha sempre ispirato, e che mi ha donato Helga Biedermann:

essere stato ogni giorno fedelmente al mio fianco e per essersi lasciato coinvolgere anche in

Qual è il tempo più importante? Il tempo presente.

Qual è l'uomo più importante? L'uomo che sta di fronte a te.

Qual è l'azione più importante? L'azione che stai compiendo in questo momento.